di GIORGIA PADOVANI
Cliché in francese significa letteralmente lo “scatto fotografico”; in molte altre lingue è sinonimo di “stereotipo”, di “luogo comune”. Talora questa espressione che indica qualcosa di non vero, di immaginario, nell’uso collettivo va spesso a indicare immagini interiorizzate, che sono caratteristiche di una determinata cultura e che vengono create dai mass media, dalla televisione, dal cinema. In alcuni casi si trasformano in opere d’arte. È questo il caso cui si assiste visitando la mostra Clichés Réels: New York(ers) di Stefano Roberto Marras, inaugurata martedì 20 aprile allo Zo’ caffè di Bologna.
Di fronte a queste fotografie si ha la sensazione che il nostro occhio fosse già preparato, si aspettasse di vedere ciò che sta vedendo, quasi l’avesse pre-visto (déjà vu) e ora gli si manifestasse nella sua composizione iconografica. Eppure non si tratta di opere artefatte, bensì di fotografie di strada, di scatti colti nell’attimo in cui la vita scorre via.
Ecco perché Stefano Roberto Marras ha intitolato cliché reali questa raccolta di immagini: ciò che gli interessava cogliere per le strade di una città il cui nome di per sè rivela il suo essere riproduzione di un originale, non era il realismo dell’oggetto, né la singolarità dei soggetti, bensì icone dell’immaginario comune, non a caso, scattate in bianco e nero.
È così che Stefano Roberto Marras, sociologo, realizza indagini fotografiche e si va ad inserire nel solco della Fotografia Umanista, quella di Frank, Parks, Davidson, Gilden, Reed, Scianna, Depardon, Chang, per intenderci. C’è un vero talento nel suo occhio e ci sono reminiscenze dei maestri a cui s’ispira e di molto cinema d’autore, di cui si è nutrito.
Allo Zo’ Caffè, locale letterario e artistico per vocazione, grazie a una gestione illuminata che sa accogliere esposizioni di fotografi più noti e meno noti, ma sempre di grande spessore e capacità, le fotografie di Stefano Roberto Marras trovano un ambiente ideale per mostrare la loro potenza evocativa.
Un tappeto musicale di Jelly Roll Morton (il pianista sull’oceano del Novecento di Baricco) ha accolto in un’atmosfera da vecchia America anni ’30 il pubblico intervenuto per il vernissage, che ha potuto approfittare dell’illustrazione di ogni singolo scatto da parte dello stesso Marras e ascoltare le storie che si nascondono dietro volti intensi ed empatici, soffermandosi talora anche su piccoli segreti tecnici e ricerche di un preciso equilibrio estetico.
Il pubblico ha potuto così compiere un breve viaggio nell’interiorità di familiari cliché culturali e al contempo sapere chi sono davvero l’anziana signora che guarda incuriosita l’obiettivo nella chiesa di Harlem, o il signor Ed, dallo smagliante sorriso, che mostra fiero la propria auto d’epoca.
Questa è la prima esposizione di Stefano Roberto Marras, ma siamo certi che questi scatti, segnalati già dalla rivista specializzata Tevacphoto, faranno molta strada, del resto, seppur giovani, hanno tutta l’aria di poter attraversare con disinvoltura non solo lo spazio ma anche il tempo, con la loro stampa volutamente sgranata e un bianco e nero che non può invecchiare.
Per provare di persona questo gioco di specchi tra le immagini interiorizzate della New York che conosciamo e gli scatti realizzati da Stefano Roberto Marras c’è tempo fino al 2 maggio.