Le mille sfumature di un’ anima multicolore

di Irene Pazzaglia

La mostra di Picasso al Complesso del Vittoriano, considerata uno degli eventi culturali più importanti della stagione, ospita ben 180 opere dell’artista spagnolo, tra oli, lavori su carta e sculture.

Devo confessare che non ho mai amato particolarmente Picasso, forse perché non mi ero mai accostata a lui con spirito particolarmente attento e osservatore e non avevo colto nei suoi quadri le intense forze inconsce che vi si agitano. La mostra mi ha dato l’occasione di percepire la straordinaria vitalità del celeberrimo pittore, vitalità che si esprime sia nell’uso di colori sgargianti, a volte stridenti e in contrasto tra di loro, sia nella scelta dei soggetti, spesso caratterizzati da un alto grado di erotismo e di drammaticità.

L’allestimento, incentrato sul periodo 1917-1937, si propone di mettere in rilievo l’eclettismo e la poliedricità del pittore spagnolo, il cui estro creativo in quegli anni si trovava sospeso tra le suggestioni del cubismo e del surrealismo e il legame con l’arte classica e il neoclassicismo, in una sorta di alternanza contraddittoria.

Il titolo della mostra, Picasso l’Arlecchino dell’arte, è emblematico e si riferisce ai quadri che raffigurano appunto Arlecchino, soggetto ricorrente nell’arte di Picasso e figura che si carica di significati simbolici che attingono al retroterra medievale, oltre ad ispirarsi ai personaggi della Commedia dell’arte.

Il primo ritratto di Arlecchino che viene sottoposto all’attenzione del visitatore risale al 1917: qui la celebre maschera è raffigurata come un uomo con un’ espressione malinconica, accentuata dall’abito che indossa, i cui colori tenui e sfumati contribuiscono a sottolineare l’atteggiamento meditabondo e incerto. Il dipinto risente di una forte ispirazione neoclassica. Siamo molto lontani dal surrealismo e dal cubismo che hanno caratterizzato le opere di Picasso nei primi decenni del secolo XX: il volto di Arlecchino, che molti hanno identificato con quello di Léonice Massine, presenta infatti tratti regolari e naturalistici.

L’Arlecchino musicista del 1924 rappresenta invece un ritorno deciso al surrealismo: il quadro, che paradossalmente ha per ambientazione un salotto borghese, è un’isterica e folle esplosione di colori sgargianti e irriverenti in cui i tratti somatici si mescolano e si scompongono, fino a scambiarsi tra di loro nella collocazione spaziale e a raffigurare una cosa per un’altra in un allusivo doppio senso: un gigantesco occhio con le ciglia, posto al centro del volto, è in realtà una vagina. Picasso sembra quindi aver abbracciato definitivamente il polimorfismo surrealista, anche se non mancheranno contraddittori ritorni al neoclassicismo, specie in un dipinto di pochi anni successivo all’Arlecchino musicista, la Natura morta con busto antico.

La Testa di Arlecchino del 1927 si presta ad interessanti interpretazioni psicologiche: il capo è raffigurato secondo tutte le angolazioni possibili, e ogni proiezione prospettica presenta dei colori di diversa tonalità, così come il cappello multicolore di Arlecchino viene alternato con la cuffia del malinconico Pierrot. L’opera rappresenta la contraddizione dell’animo umano, a volte allegro e spensierato, “inondato di luce”, e a volte cupo e triste, preda del buio. La figura di Arlecchino, in cui Picasso si identifica, si carica quindi di una maggiore valenza simbolica e di un dualismo chiaroscurale: la maschera della Commedia dell’arte, buffa, spensierata e burlesca, si contrappone al demone infernale Arlequin, figura di origine medievale da cui il personaggio ha preso il nome.

Il confronto tra queste opere che riguardano il medesimo soggetto è particolarmente approfondito nell’esposizione, che ben mette in rilievo, tramite didascalie esplicative, l’importanza, nell’arte di Picasso, della continua e contraddittoria alternanza di stili e tendenze, così come grande è il rilievo che viene dato all’interpretazione psicologica delle opere, spesso contraddistinte da un’intensa drammaticità o da un forte erotismo.

Nel 1927-28 Picasso inizia una relazione con la diciassettenne Marie- Thérèse Walter. Questo nuovo, emozionante amore, che segnerà la fine del matrimonio con Olga Kokhlova, da cui era nato il figlio Paulo, apre un nuovo periodo nella vita dell’artista, una specie di seconda giovinezza dominata dalla gioia dei sensi. Marie Thérèse viene spesso ritratta da Picasso nella sua giunonica bellezza in pose sensuali che ne esaltano la procace avvenenza, come in Siesta. Qui le forme monumentali della giovane donna sono talmente prorompenti e straripanti che sembrano voler uscire dalla tela; i tratti del corpo non sono riprodotti in modo naturalistico, ma sono solo abbozzati, in modo da far risaltare esclusivamente gli enormi seni e le floride natiche, le cui rotondità sono esaltate dalla posa sdraiata e sottolineate dall’uso dei colori, lilla, verde e azzurro.

La carica emotiva dell’erotismo viene sostituita dall’intensità del dramma nelle opere appartenenti al periodo della guerra civile in Spagna, come la Testa di cavallo o la Donna piangente, realizzate quasi contemporaneamente a Guernica (1937), dipinto tragico e monumentale, forse il più celebre di Picasso.

La scomposizione surrealista dei lineamenti, che, unitamente all’uso di colori intensi e stridenti e alla rappresentazione di una mimica facciale alterata, contribuisce ad accentuare l’espressione di dolore del cavallo e della donna, si trasforma in eleganza e linearità nelle storie di brutalità e violenza di ispirazione mitologica narrate nelle acqueforti della cosiddetta Suite Vollard, che chiudono il ciclo ideologico della mostra.

Vita, erotismo e morte: le forze che dominano l’esistenza di tutti noi, e che si agitavano nell’animo inquieto dell’artista spagnolo, si materializzano davanti ai nostri occhi con un’intensità incredibile, in un’esposizione che ci mostra tutte le sfumature dell’animo umano.

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