Roma accoglie Fatos Kongoli

Edito in Italia da Rubbettino il suo romanzo più celebre:
LA VITA IN UNA SCATOLA DI FIAMMIFERI

Scrittore albanese riconosciuto tra i maggiori esponenti della letteratura balcanica, Fatos Kongoli (Elbasan 1944) ha ricevuto gli elogi delle testate europee più prestigiose: da Le Monde a Le Figaro, dal Der Tagesspiegel al The Independent, dal The Guardian a Le Temps a Le Soir. È stato paragonato a Kafka, Dostoevskij e Solženicyn e i suoi romanzi, tradotti in dieci lingue, sono apprezzati ovunque.

Il libro

È il destino a mettere sulla strada di Bledi Terziu, cronista di nera in “lutto alcolico” per una delusione amorosa, una zingara diciottenne, Isabela, con cui vorrebbe avere un rapporto sessuale ma che uccide, “involontariamente”, nella sua vasca da bagno. È il punto di rottura, l’evento tragico che porta a galla le sue inquietudini e risvegliandolo dallo stato catatonico in cui si crogiolava tra un Jack Daniel’s e l’altro.
Risorgono come zombie dalla terra della sua infanzia i ricordi dei giorni in quella casa piccola come una scatola di fiammiferi, della gioventù passata a combattere contro il “coro dei vermi” che lo assilla ancora e che diventa metafora delle ossessioni umane; dei vicini di casa “involontari” comprimari in una vita di cui lui stesso non si sente protagonista.

La società classista e razzista, gli attivisti di quartiere, l’icona “sacra” in ogni casa, l’università limitata, la corruzione dilagante, la quotidianità a cui o ci si adatta o si soccombe; quando a partire dal 1990 – per Bledi confine tra preistoria ed età moderna – la situazione economica e politica migliora e il panico esistenziale assume nuove forme, quelle della mondanità di Tirana, dei vip e dei lustrini.


La storia di Bledi Terziu, raccontata alternativamente in prima e in terza persona, è una confessione senza filtri e orpelli narrativi che investe il lettore trascinandolo in un flusso di coscienza destabilizzante.
L’intensità della storia albanese, a partire dal regime di Enver Hoxha, passando per il periodo post-comunista, fino ad arrivare all’anarchia del 1997 e al successivo periodo di occidentalizzazione, non è il semplice sfondo del romanzo ma la chiave di lettura che accorda il protagonista con ciò che gli si riversa addosso tra aspirazioni e dura realtà.


Consapevolezza e incoscienza si alternano in un limbo di suggestioni che rendono pulp, grottesco e allo stesso tempo intenso un racconto che il protagonista non controlla ma attraversa in maniera lenta e confusa, “come una lumaca alla ricerca del guscio perduto”, come chi si è perso e cerca a fatica di recuperare il bandolo della matassa.


Tutto è governato da un fatalismo esasperato in cui le intenzioni spesso rimangono tali e non si completano nelle azioni corrispondenti, in una sorta di parallelismo con un caos beffardo a cui Bledi non riesce, non può o non vuole opporsi.
Kongoli è brutale, gioca con le immagini dissacranti, con gli odori rivoltanti e i corpi nudi, con la sensualità più terrena e con l’ingenuità dell’infanzia, mischiando tutto in maniera ironica e irriverente.

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