LUCA BAGATIN
Ho avuto l’onore ed il privilegio di vedere in anteprima il film non ancora uscito nelle sale – ma che mi auguro troverà presto un distributore – “Un uomo nuovo”, di Salvatore Alessi e tratto dal romanzo di Adriano Nicosia “Cogli la rosa, evita le spine”, interpretato dall’amico Andrea Galatà, giovane attore catanese, la cui interpretazione ha ricevuto il premio come miglior attore alla prima edizione del Catania Film Festival.
Andrea è Rosario Roccese, candidato a Sindaco di Monsalso, paese siciliano inventato, che è uno spaccato della realtà siciliana, ma anche quella del nostro intero Paese.
Nel corso del film vediamo un Rosario prima bambino, legatissimo alla sorella maggirore, la quattordicenne Anna (interpretata da una struggente Veronica Cusimano), la quale rimarrà presto incinta del suo ragazzo.
L’amore fra i due giovani, ad ogni modo, sarà ostacolato in particolare dal padre del ragazzo, l’Ingegner Grassi (Roberto Burgio), proprietario della fabbrica di grano di Monsalso, presso la quale lavora il padre di Rosario e di Anna.
L’Ingegner Grassi obbliga il padre di Rosario, Salvatore (Orio Scaduto), a far abortire la figlia, la quale ne rimarrà presto sconvolta, al punto di suicidarsi.
Tempo dopo, Rosario, ormai adulto, diventerà il figlioccio dell’Ingegnere Grassi, il quale, assieme al Sindaco uscente di Monsalso, gli procurerà i voti necessari ad essere eletto, tessendo rapporti con la Chiesa (rappresentata da Don Giuseppe, interpretato da Nino Frassica, per la prima volta sullo schermo in un ruolo drammatico), con le banche e con la criminalità organizzata, facendone affiliare Rosario stesso.
Rosario è, dunque, un “uomo di paglia” nelle mani dei potenti, il quale pur è convinto di poter cambiare le cose. In cuor suo è un idealista, ma è anche un debole che si lascia usare.
Affranto dal rimpianto di non aver potuto salvare la sorella maggiore, finisce per uccidere, in Chiesa, l’Ingegner Grassi, con un coltello e lavandosi le mani nell’acquasantiera. Sarà, io credo, l’ennesimo gesto vile.
Rosario adulto non è certo migliore delle mani che lo guidano, tessendone e plasmandone il presente ed il futuro. Un futuro che sarà segnato dal potere, ma, a quale prezzo?
A prezzo di una vita da codardo che, vilmente, ha lasciato corrompere la sua mente, perdendo quell’innocenza che possedeva, intrinsecamente, da bambino. Quando amava la sorella, perché quell’amore si è spezzato per sempre.
La vendetta di Rosario nei confronti dell’Ingegnere, non è che l’estremo atto di viltà.
Perché la vendetta non è che la peggior forma di corruzione della mente. Essa è strumento facile, immediato, apparentemente e vilmente risolutivo, in quanto essa è radicata da secoli nell’individuo, sua dannata compagna ancestrale con la quale l’uomo pensa di poter risolvere tutto, scacciare i fantasmi di un passato che non passa. Mentre in realtà è la vendetta stessa che lo fa precipitare nel vortice dei suoi più bassi istinti, facendogli perdere ogni briciola di umanità che gli è rimasta.
Rosario Roccese non può, dunque, essere perdonato e non può, a mio giudizio, essere considerato “un uomo nuovo”. Egli non è più uomo, in quanto ha venduto la sua umanità prima al potere e poi alla vendetta. Egli non si è rinnovato, bensì si è totalmente corrotto.
Corrotto come quella politica che, l’anima innocente di Rosario, avrebbe voluto/creduto di poter cambiare.
E mi ritorna alla mente uno scritto di Pier Paolo Pasolini, cantore dell’innocenza, del 1975, il quale scrisse:
“Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di colpire gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani, responsabilità dell’esplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese.
Uno scritto, quello di Pasolini, che inchioda certa politica di ieri ed ancor più di oggi (cambiano i nomi, non certo i ruoli), alle proprie dirette responsabilità.
Una politica che ha corrotto e corrompe, sempre di più, i giovani di oggi (e mi viene in mente quel giovane Vicepresidente del Consiglio comunale di Roma, recentemente arrestato per associazione a delinquere, appropriazione indebita e finanziamento illecito ai partiti), perché figlia del potere e della menzogna.
Rosario Roccese, pur tendendo al rinnovamento e dunque rimanendo legato alla sua anima bambina, finisce per perdersi nel buio di una società corrotta. Perché questa politica, ce lo dimentichiamo troppo spesso, è figlia di questa società.
Solo l’innocenza, il ritorno alla fanciullezza nella quale provava sincero amore per la sorella, avrebbe potuto restituirci un uomo pienamente nuovo perché in grado di battersi a viso aperto contro il malaffare, la corruzione e la violenza dell’universo che lo circonda e che lo condannerà, invece, ad essere un uomo di potere manovrato e manovrabile, come ce ne sono purtroppo tanti, troppi, in quest’Italia malata.
Il mio giudizio sul protagonista di “Un uomo nuovo” è dunque severo e non so se, effettivamente, sia questo ciò che ci ha voluto trasmettere il film di Alessi, che mi ha commosso e toccato molto.
Perché è uno spaccato della Sicilia e dell’Italia politica e sociale di oggi, che merita di tornare alle sue radici più pure, autentiche, sane, quelle che sognava, appunto, Pier Paolo Pasolini, ucciso non già da un marchettaro, bensì dal Potere e da una società che a questo Potere ha fornito alimento ed alibi. E continua, purtroppo, a fornirlo ed a fornirne.