Dal 2 al 31 luglio, il Chiostro del Bramante propone l’antologica di Armodio.
L’evento, promosso con la collaborazione della Casa d’Arte San Lorenzo, ha il sapore di un ritorno dato che è stato proprio a Roma, nel lontano 1964, che l’allora giovanissimo artista piacentino ebbe la sua prima, vera consacrazione, con la mostra all’Obelisco. E’ qui che venne scoperto da Lily Shepley che lo propose, con successo, negli Stati Uniti, aprendogli una carriera internazionale che lo ha portato, da protagonista, dopo gli States, a Londra, Bruxelles e a Parigi. Molto presente in questi Paesi, in Italia le sue mostre sono invece piuttosto rare e è anche per questo che l’esposizione romana si configura come un vero evento.
A curarla è Giovanni Faccenda. Nel catalogo edito dalla Giorgio Mondadori, l’artista sarà presentato, oltre che dal curatore, dal Antonio Paolucci che di Armodio è da sempre attento estimatore. Il volume riport! erà anche una selezione di interventi di critici italiani, da Giorgio Soavi a Vittorio Sgarbi, che di Armodio si sono più volte occupati con competenza e passione.
“Bisogna tornare all’Arcimboldo e alla Wunderkammer di Ambrasz per intendere il genio di Armodio. Un artista che si inventa universi paralleli costruiti però con i sapori e i colori di questo mondo e che li immagina popolati di gioiosi ironici enigmi” è l’opinione di Paolucci.
“Armodio non è né surrealista né metafisico. La sua radice padana, la sua confidenza con la concreta sostanza delle cose non gli permettono di collocarsi sopra la realtà né sopra la natura. La sua pittura vuole dimostrarci che sono natura e sono realtà anche i significati reconditi che abitano le cose. Sono realtà i sogni, i fantasmi, le memorie che si depositano sul vero visibile”.
Armodio si potrebbe definire pittore di nature morte, un s! ublime Chardin di oggi.
Nelle sue stanze profondamente enigmatiche, abitano oggetti, che sono, in realtà, soggetti di una rappresentazione immaginaria, continuamente suscitata da un’arcana vocazione animistica. Scarpe, libri, caffettiere e quant’altro concerne una intimità domestica, che indovini soprattutto memoriale, accendono di palpitazioni l’atmosfera, potentemente evocativa, nella quale albeggiano letture, storie, ricordi, naturalmente rivisitati con un’ermetica impronta personale.
“Gli ingredienti prediletti da Armodio sono la luce, il silenzio, la polvere, quell’odore antiquato di muffa che i libri esalano ogni volta che li recuperi dai loro scaffali, quando cominci a svoltarne lentamente le pagine, pensando con curiosità alle mani che avevano compiuto quel gesto semplice prima delle tue. Cos’è rimasto di loro, di quelle mani, sulla carta ingiallita dagli anni e dall’umidità? Forse un impercettibile soffio vitale r! esiste laddove compare una piccola piega o una segnatura a matita inattesa come un’emozione?”, scrive Giovanni Faccenda.
Colui che Sgarbi ha definito «il pittore senza errori», è anche uno dei più ispirati e virtuosi, in un ambito, evidentemente, non solo italiano.
“La sua è una aristocrazia del segno, che ricorda da vicino la sontuosa eleganza del tratto morandiano, e che vive di molteplici suggestioni: dall’umile presenza di una lampada ad olio che rischiara le tenebre mentre il maestro appunta un’idea appena sorta nel cuore della notte, al nitido ricamo della luce intorno a cose che sembrano dimenticate tra i ricordi e la polvere di un antiquato scaffale.
L’aura di raccoglimento che avvolge queste sibilline entità si arricchisce – annota ancora Giovanni Faccenda – di una suggestione: il bagliore adamantino che hanno le cose rivelate. Cose che non sono cose, ma presenze, vive, salutari, significan! ti, riaffiorate come per magia da un cosmo incombente, nel quale Armodio si addentra come un moderno Diogene, non più interessato agli uomini e al loro destino, ma all’anima nascosta di esistenze segrete e invisibili. Perchè aveva ragione Morandi: si può dipingere tutto, basta soltanto saperlo vedere”.
Armodio, all’anagrafe Vilmore Schenardi, autore piacentino nasce il 4 ottobre 1938 e già dalla tenera infanzia è travolto da una intensissima pulsione artistica. A 13 anni incontra Luciano Spazzali, una delle prime persone che incoraggia attivamente la sua passione, invitandolo in un piccolo laboratorio di artisti locali, qui incontra Gustavo Foppiani, che diverrà per Armodio un valido promotore nonché un caro amico. Tra il 1951 ed il 1952 frequenta l’Istituto Gazzola di Piacenza, pur non riconoscendovi grande importanza. Ben altro peso avrà lo Studio Spazzali o Scuola di Piacenza (come la definirà il gior! nalista Gaetano Pantaleoni) dove il giovane artista apprende sempre nuove tecniche trovando una propria identità e creatività. Nel 1954 abbandona il laboratorio di Spazzali e si trasferisce con Foppiani in uno scantinato dove si concentra sulla pittura, successivamente, dopo aver cambiato studio, si unisce anche Carlo Berté. Grazie all’interessamento di Foppiani, nel 1964 Armodio espone alla Galleria Obelisco di Roma, dove incontra il favore del pubblico ma non un effettivo guadagno economico, che arriverà invece quando Lily Shepley riuscirà a vendere le sue opere negli Stati Uniti. Nel 1969 si reca a Londra dove viene a contatto con la pittura indiana, persiana e giapponese, delle quali apprezza soprattutto i colori e l’assenza di prospettiva. Nel 1972 espone con successo le sue opere a Bruxelles. La fama di Armodio lievita e, dopo un fruttuoso soggiorno a Parigi torna in Italia.
Oggi Armodio vive e lavora a Piacenza.
Armodio. Entità incombenti. Roma, Chiostro del Bramante (Arco della Pace, 5) , 2 – 31 luglio 2011. Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 19, escluso i lunedì. Ingresso libero.
Mostra a cura di Giovanni Faccenda. Catalogo edito dalla Giorgio Mondadori Editore, con introduzioni critiche di Giovanni Faccenda e Antonio Paolucci.