La violenza invisibile

di CLAUDIANA DI CESARE

Si è chiusa ieri la rassegna FestArte VideoArt Festival, ospitata, nella sua terza edizione, presso il nuovo spazio La Pelanda del Macro Testaccio (Ex Mattatoio). Una residenza prestigiosa quella del nuovo polo museale di Roma, con i suoi 5000 mq appena ristrutturati in cui per quattro giorni è stata protagonista la videoarte internazionale.

Questa forma d’arte, tra i mezzi di espressione contemporanei più versatili e dinamici del panorama culturale attuale, ha permesso ad artisti provenienti da 60 paesi del mondo di esprimersi ed indagare il tema scelto per il concorso: “la violenza invisibile”, nella sua dimensione privata, pubblica e sociale.
L’evento è realizzato anche grazie al sostegno della Regione Lazio e del Comune di Roma e per la sua promozione e diffusione si è costituita una rete tra alcune delle più prestigiose istituzioni di settore (MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma, MAXXI Museo delle Arti del XXI secolo e La Triennale di Milano).

Hanno partecipato al concorso ben 500 artisti, chiamati a raccontare ed interpretare questo tipo di violenza, che “non lede il corpo, non si vede, ferisce senza toccare”. Durante i giorni della manifestazione, sono stati proiettati i 22 video finalisti, suddivisi nelle categorie in concorso, selezionati fuori concorso e menzioni speciali. Lo spettatore ha potuto osservare le dinamiche della violenza invisibile, vissuta e percepita intimamente attraverso le opere in concorso; ha avuto l’occasione di scrutarla, provare a comprendere le sue dinamiche, decodificarla come un “soffio poco riconoscibile”, un virus inavvertibile, ma feroce e ostinato, che nasce negli ambienti che ci dovrebbero accogliere e cullare, che si nasconde dietro atteggiamenti insospettabili o è intento a “serpeggiare nella contingenza storica, culturale e politica”. L’unico modo per difendersi è “saperla riconoscere, raggiungere quella sensibilità che diviene consapevolezza” spiegano la direttrice artistica Lorena Benatti e la storica dell’arte Anna Maria Panzera, “equivale a separarsene e forse a una nuova nascita”.

In mostra, opere sulla censura dei media, le relazioni familiari, il rapporto uomo-donna e quello amicale, l’identità sociale, le apparenti normalità: “opere di denuncia, sarcastiche e pungenti, metaforiche e oniriche”.
Come quella di Elena Bellantoni, “Ich bin… du bist” (in italiano ‘Io sono, tu sei’), in cui sono protagoniste le dinamiche di coppia e il progressivo mutamento delle relazioni. Nel video, un uomo e una donna sono l’uno di fronte all’altra, separati da un antico confessionale collocato in un prato di Roma in una giornata ventosa. Le loro bocche non si muovono, ma lo spettatore può ascoltare i loro pensieri. Seguendo una parabola di emozioni, le voci delineano un rapporto che nasce dalla dolcezza delle prime dichiarazioni – sospirate e passionali – e, d’un tratto, sfocia nella violenza di parole dure, aspre, cariche di un odio crescente.

O l’opera di Giuseppe Di Bella, “Healing”, che esamina e rappresenta, utilizzando appieno le potenzialità espressive del mezzo, gli effetti e le implicazioni dei traumi e dei conflitti presenti nella società contemporanea, svelando anche le azioni necessarie per una nuova rinascita.

O ancora “Whether”, l’opera dei coniugi Hillerbrand e Magsamen, che si focalizza sulle dinamiche familiari: quella che sembra essere una scena tipica di una famiglia riunita a pranzo, diventa improvvisamente surreale grazie alla metafora di una nebbia fitta e densa che avvolge ogni cosa e mostra allo spettatore la stesso rassicurante quadretto familiare attraverso una lente distorta, irreale, fluttuante, creando uno strano senso di smarrimento e inquietudine.

Lo stesso turbamento provocato dall’opera di Elisabetta di Sopra, “Untitled”, in cui è mostrato un seno materno che risponde al vagito di un neonato producendo latte. Nel corso di tutto il video, che dura poco più di un minuto ma sembra eterno, l’inquadratura rimane fissa su quel seno, che produce, inutilmente, il suo prezioso nutrimento. Il neonato continua a piangere, ma la donna resta lì, immbobile, in una condizione di privazione, a significare una condizione di inaffettività materna.

La mostra sarà ospitata nei prossimi mesi alla Triennale di Milano e a New York nel mese di Novembre.

* Whether – still da video
di Hillerbrand + Magsamen | USA| 2010 | 5’

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