di CLAUDIANA DI CESARE
Una mostra per riflettere sulla società contemporanea. Quattordici artisti internazionali che raccontano l’uomo oggi, utilizzando l’arte, con le sue potenzialità narrative, come strumento di osservazione sociale e politica. Tutto questo è “This story is not ready for its footnotes”, l’esposizione curata da Camilla Pignatti Morano e Pelin Uran che ha aperto le danze il 20 maggio ed è giunta al terzo ed ultimo episodio.
Nel primo appuntamento (20 maggio-19 giugno), sono state analizzate le tematiche su cui la società contemporanea, moderna e razionale, non si sofferma: il fraintendimento, il surreale, l’assurdo, le insoddisfazioni dell’individuo, le parti inaccettabili degli esseri umani che emergono come proiezioni psicologiche e permeano la vita di ognuno di noi, inconsapevolmente.
Nel secondo episodio (23 giugno – 17 luglio 2010), è stato messo in primo piano il potenziale del racconto come mezzo di critica alla vita sociale e politica: un tentativo di lettura, in contrasto con la visione convenzionale della realtà, volto a sottolineare quanto l’informazione banalizzi la conoscenza dei fatti.
La terza e ultima fase, in mostra fino al 16 settembre, con una pausa dal 30 luglio al 7 settembre, racconta l’irrequietudine dell’uomo contemporaneo attraverso il tema del lavoro, affrontato con approcci diversi dai vari autori: estetico (Ali Kazma), etico (Rossella Biscotti), poetico (Danilo Correale) e analitico (Bettina Wind e Alexandra Ferreira).
Il fine della mostra è creare una rottura rispetto alla consueta lettura del presente e stimolare nello spettatore non tanto una reazione critica, bensì un atteggiamento di osservazione e libera interpretazione dei fatti. Tutti i video denotano, infatti, un’identità documentaristica e sperimentale, ma sono privi di qualsiasi valutazione o condizionamento visivo. Il titolo dell’esposizione – “This story is not ready for its footnotes” – svela proprio questo proposito: “Abbiamo scelto questo titolo perché il tempo che viviamo non è ancora pronto per essere decodificato con sufficiente distanza e obiettività” spiega la direttrice Beatrice Bertini, “Quando poniamo delle note a piè di pagina ad uno scritto abbiamo la presunzione di aver esaurito un argomento. Questa mostra non vuole dire la verità sulla storia, vuole solo fare le domande dando risposte creative, surreali, fantastiche, estreme ed estetiche”.
Una sorta di invito ad una intima riflessione sul nostro tempo in cui, troppo spesso, la fluidità delle immagini opera un coinvolgimento rapido, sbrigativo, frenetico. La visione dei quattro video, invece, grazie proprio alla lentezza delle sequenze unita alla cruda bellezza di ogni fotogramma, si offre allo spettatore come un’occasione di sospensione, un modo per riflettere e appropriarsi dei contenuti veicolati. Con le opere in visione si vorrebbe “stimolare negli spettatori una riflessione sulla storia in senso ampio – continua Beatrice Bertini –, vorremmo che gli osservatori come gli artisti cominciassero a proporre il proprio modello di storia, in senso politico e sociale, per non commettere nuovamente gli errori del passato, per non subire passivamente gli schemi proposti dalla società di massa”.
In questo ultimo appuntamento, il focus è l’uomo contemporaneo. Egli è il soggetto che vive, si muove, lavora in ambientazioni impersonali, asettiche; è analizzato nel suo frenetico bisogno di tenere tutto sotto controllo ed è messo costantemente in relazione con l’industrializzazione, l’impresa, l’architettura e la natura. Tutte le opere in visione sono infatti sottilmente legate dal filo rosso del lavoro, della manodopera, della produzione, della fatica, degli strumenti della società contemporanea.
Lo spettatore, avvolto nelle sinuose e ondeggianti pareti bianche dello spazio dell’Ex-Elettrofonica, si ritrova ad osservare momenti del ciclo produttivo, a volte alienanti, ripetitivi, estremamente diluiti, scanditi da suoni metallici e vibrazioni cadenzate, altre volte frenetici e assordanti, composti da azioni incomprensibili. Il ritmo dettato dalla logica ferrea della catena di montaggio in una fabbrica turca che produce jeans; rapide sequenze di gesti, mani, dita che scorrono veloci; donne e uomini che diventano un tutt’uno con i macchinari industriali; immagini che svelano l’importanza delle micro attività della vita quotidiana a cui solitamente non si presta attenzione. Queste immagini catturano lo spettatore e gli consentono di indagare intimamente il significato del lavoro, delle attività umane e della produzione dei beni di consumo nella nostra società. La narrazione, il coinvolgimento, l’impatto delle immagini, permettono di riattivare una memoria collettiva e di dar voce a storie personali, a eroi muti che sono scomparsi nei luoghi di produzione e in alcuni meccanismi inesorabili della società contemporanea.
nella foto Danilo Correale, StoryCrafter, 2010