Il pensiero liberale: fondamento di evoluzione e crescita

di MARTINA CECCO

Senza il pensiero liberale il Trentino non sarebbe stato così come lo vediamo ora. Nella storia contemporanea siamo spesso abituati a percepire, a torto, il pensiero liberale come un apostrofo filosofico o politico a una situazione partitica definita, che potremmo anche riconoscere come quella fatta di simboli e persone che andiamo a votare alle urne, dando così al liberalismo (come a tutti gli -ismi in generale) una posizione subalterna e meno incisiva di quello che meriterebbe.

In questo contesto però, che potrebbe ben rispondere a una esigenza tutta statistica di settorizzare, prevedere e analizzare correnti politiche, viene tralasciato spesso o al contrario riconosciuto ed evidenziato alla bisogna, che le correnti liberali furono e sono sempre all’origine dei grandi cambiamenti, in cui si presenta una situazione di crisi del governo centrale o di discordanza con il popolo governato e la necessità di riforma, cambiamento e crescita.

Fu il pensiero liberale a influire in maniera determinante nel 1689 a dare vita alla prima Monarchia Costituzionale in Inghilterra, alla dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 che diede alla luce una Repubblica e infine alla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino nel 1789.

Dunque, anche se l’abitudine è di ricollegare con un certo automatismo il liberalismo con il liberismo economico, inteso come autodeterminazione economica e libertà di perseguire obiettivi individuali e indipendenti dal sistema, non dobbiamo dimenticare che alla base delle certezze sociali ed economiche del pensiero liberale non vi sono solo studi e teorizzazioni, ma anche grandi rivoluzioni che hanno contribuito a creare il panorama socio-politico moderno e la sua rappresentanza verso l’esterno.

E’ allo stesso modo che in Italia il pensiero liberale ha avuto i suoi piccoli/grandi risultati, che hanno collaborato alla creazione e allo sviluppo di una nazione moderna, libera e indipendente da poteri autoritari e sovrani che ne limitassero la crescita e la maturazione.

Alle radici dell’Italia che sa riconoscere le tappe della nazione vi è anche e specialmente il pensiero liberale, che tra moti, studi e rivoluzioni ha avuto in carico il compito se vogliamo più difficile per uno Stato: la creazione del modus vivendi e del pensiero individuale di cittadini riuniti in un solo contesto politico, ma non avezzi ad averne libertà di parola e di gestione.

Per questo vale la pena fare una considerazione su una delle regioni che più manifestano un carattere autonomo e peculiare, ovvero Trento e il suo territorio, che devono al movimento liberale la firma di indipendenza dallo stato sovrano di oltralpe, in seguito a cui nel periodo dal 1849 al 1851 data della approvazione dello Statuto di Trento, che liberava la regione dal potere sovrano dell’imperatore, potè sperimentare le prime forme di autogoverno, di indipendenza e di libertà di stampa e di pensiero politico.

Merita ricordare questo, come altri episodi analoghi in cui il movimento liberale ha giocato un ruolo chiave, in un periodo come quello attuale, in cui lo Stato ha perso la legittimazione data dalla cieca fiducia ottenuta con i consensi alle urne e si trova a dover fare i conti con due diverse realtà amministrative ed economiche, da una parte quella locale dello Stato e dall’altra quella sovranazionale dell’Europa Unita.

Sono solo alcuni, quelli che seguono, i contesti in cui merita che il pensiero liberale riprenda la sua postazione di avanguardia: certamente quello politico, per la costruizione di una nuova classe dirigente capace di maggior adattamento a un sistema in continua e rapida evoluzione; quello economico, per lo studio di strategie e di sistemi flessibili e di investimento, innovativi; quello culturale, per il rilancio di uno Stato alla luce della multiculturalità e della necessità di autodeterminazione di una nazione nuova, molto diversa da quella che siamo abituati a trovare descritta nei libri di storia e di geografia; infine quello sociale, per il riequilibrio economico tra le classi, nell’ottica del recupero di una paritarietà di diritti e di doveri tra cittadini, considerato che il meccanismo attuale patrocinato dai nostri predecessori altro non ha fatto se non indebolire il ceto medio, aumentare la povertà diffusa e concentrare la ricchezza in poche sacche poco avezze agli investimenti sul territorio nazionale.

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