Il decreto legge del 15 settembre 2006 n. 258, convertito dalla legge n. 278 del 10 novembre 2006, contenente norme per l’adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia Europea, prevede che il rimborso ai soggetti aventi diritto debba avvenire a seguito di “apposita istanza di rimborso” alla quale debbono essere uniti “[…] i dati ed i documenti che devono essere indicati o predisposti a fondamento dell’istanza di rimborso” (ex art. 1, n. 1); ma l’elenco degli aventi diritto e la relativa documentazione non sono già nelle mani della Pubblica Amministrazione, anzi della medesima Agenzia delle Entrate, cui va presentata l’istanza? E allora, che ne è dell’applicazione dell’art. 10, secondo comma della legge 4 gennaio 1968, n. 15, che recita: “Le singole amministrazioni non possono richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultino attestati in documenti già in loro possesso o che esse stesse siano tenute a certificare” ? E’ evidente l’illecita, elusiva e dilatoria deroga introdotta dallo Stato ai danni degli aventi diritto. I costi ed i tempi di rimborso si dilatano e gli aventi diritto vengono dissuasi dal presentare istanza.
Ma ancora, in crescendo, il medesimo D.L. n. 258 allo stesso art. 1 recita: “Sono in ogni caso escluse le procedure di detrazione e di compensazione dell’imposta sul valore aggiunto […] “. E la semplificazione procedurale e burocratica che fine ha fatto; è stata dimenticata?
Eppure l’articolo 23 della Carta Costituzionale italiana afferma: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. I tempi persi per mettere insieme i documenti relativi all’istanza, rifare tutti i conteggi e presentarli; i costi sostenuti da coloro che, data la complessità dell’istanza, debbono ricorrere all’aiuto di un esperto professionista non sono forse prestazioni personali e patrimoniali? Ma lo Stato italiano sembra dire in modo beffardo: tutto lecito! Vi faccio perdere tempo e denaro, ma per disposizione di legge: la Costituzione è salva.
Purtroppo però, arroganza e spudoratezza di questo Stato non hanno neppure il limite del buon gusto e sempre all’art. 1 della medesima legge si afferma: “Al fine di evitare ingiustificati arricchimenti, i dati hanno ad oggetto anche altri tributi rilevanti ai fini della complessa determinazione delle somme effettivamente spettanti.”. La prassi dissuasiva, dilatoria ed elusiva continua, ma ora il contribuente viene anche sbeffeggiato ed offeso. Infatti, la sentenza europea riguarda “ingiustificati arricchimenti” dello Stato italiano a danno dei propri cittadini non viceversa. La conclusione di questa vergognosa storia si presenta, in fine, ancora emblematica: l’Italia chiede, questa volta secondo le procedure di legge previste, ed ottiene dal Consiglio dell’Unione Europea, con decisione del 18 giugno 2007 (2007/441/CE), una deroga alla direttiva europea sull’I.V.A., che consente di “[…] limitare al 40% il diritto a detrarre l’I.V.A. sulle spese relative ai veicoli stradali a motore non interamente utilizzati ai fini professionali”, ovviamente sempre in via transitoria, sino al 31 dicembre 2010. In tale modo il regime transitorio italiano si estende dal 17 maggio 1977 sino a tutto il 2010, se non oltre. Il termine transitorietà ha ancora un significato nella lingua italica dello Stato burocratico italiano?