La domanda da porre con fermezza oggi, a centocinquanta anni dall’unificazione italiana, è una, precisa ed ineludibile: quali forze conquistarono il controllo di tale unificazione e la gestirono a propria immagine? Non vi possono ormai essere più dubbi: i vincitori furono i monarchici, statalisti e centralisti; in sintesi le forze più conservatrici, autoritarie ed antipopolari del nostro Risorgimento. Alla luce di questa riflessione è possibile comprendere non solo alcune anomalie storiche, che pur trapelano maliziosamente dalla storiografia di regime, ma anche la sostanziale continuità, priva di palingenesi libertaria e democratica, che ha accompagnato senza soluzione di continuità in questo ultimo secolo e mezzo l’istituzione statale italiana. Non è possibile, a monito imperituro della tragedia italiana, lasciar cadere nel silenzio la triste sorte, che lo Stato Unitario riservò ai suoi principali eroi mitologici risorgimentali:
1. Giuseppe Garibaldi nel 1862 organizzò una spedizione militare per liberare Roma dal Papato. Il neonato Regno d’Italia gli schierò contro l’esercito regolare e fu ferito all’anca ed al piede sinistro dal fuoco dei bersaglieri monarchici in Calabria, nel cuore dell’Aspromonte. Fu arrestato. Nel 1867 il Generale ritentò l’impresa, venne sconfitto, riparò in territorio italiano e, qui, venne nuovamente arrestato. Garibaldi, ormai vissuto con fastidio dal regime sabaudo, muore a Caprera in volontario esilio nel 1882. Non sorte migliore era già toccata ai volontari garibaldini dell’impresa dei Mille, i quali, a seguito dell’incontro di Teano del 1860, nel quale Garibaldi dovette cedere senza condizioni a Vittorio Emanuele II i territori liberati, furono sciolti come corpo militare ed inglobati con un grado in meno (vera umiliazione per dei vincitori) nell’esercito sabaudo; prima avvisaglia dell’orrore che lo Stato italiano ha sempre avuto per i cittadini in armi, per l’esercito di popolo a garanzia della propria libertà. Non casualmente, infatti, la coscrizione obbligatoria si trasformò in inutile corvée, in ignobile naia ed il porto d’armi, a differenza che negli Stati liberi, come la Svizzera e gli U.S.A., non è un diritto, ma una concessione da strappare a fatica ad un potere pubblico, che, consapevole delle proprie malefatte, teme la giusta rivolta popolare.
2. Giuseppe Mazzini, dopo aver subito dal Regno di Sardegna varie condanne a morte venne amnistiato nel 1870, ma, subito, nel medesimo anno, venne prontamente arrestato ed imprigionato nel carcere militare di Gaeta, poiché aveva ripreso la propria attività politica. Costretto all’esilio rientrò con il falso nome di Giorgio Brown in Italia, a Pisa, nel febbraio del 1872, ove morì in clandestinità il 10 marzo dello stesso anno.
3. Carlo Cattaneo fu a Napoli nel 1860 con Garibaldi, ma abbandonò la città quando si rese conto che l’idea repubblicana e federalista non avrebbe potuto prevalere su quella monarchica e centralista. Fu eletto numerose volte ed in più collegi, tra i quali scelse sempre quello di Milano, ma non entrò mai nel Parlamento italiano, disgustato dall’obbligo impostogli di dover giurare fedeltà al re. Morì in volontario esilio e ristrettezze economiche a Castagnola, nei pressi di Lugano (Svizzera), nel 1869.