Il Regno di Sardegna non soltanto fu l’unico Stato italiano che conservò e tenne fede ad una Costituzione, lo Statuto Albertino, che riconosceva le libertà dei cittadini e delineava libere istituzioni rappresentative. Non soltanto fu l’unico Stato italiano che resistette e si oppose alla preminenza dell’Austria nella penisola italiana. Quando, si ricordi, all’indomani del fallimento dei moti del biennio 1848-1849, l’Austria — oltre ad avere il diretto dominio della Lombardia e del Veneto, così come pure del Trentino, del Friuli e di Trieste — teneva proprie truppe nelle cosiddette Legazioni (Ferrara, Ravenna, Forlì, Bologna) facenti parte dello Stato Pontificio, ad Ancona, anch’essa parte dello Stato Pontificio, nei due Ducati di Parma e di Modena, nel Granducato di Toscana. Eccettuata la Toscana, da cui le truppe austriache si ritirano prima, quasi tutti questi presìdi militari durano fino al 1859. Il Regno di Sardegna fece eccezione anche perché accoglieva gli esuli politici provenienti da ogni parte d’Italia: dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, dalla Romagna, dall’Emilia, dal Napoletano, dalla Sicilia. Ha scritto Adolfo Omodeo: “il Piemonte traeva sempre maggior vantaggio dagli immigrati, assumessero o no la cittadinanza sarda. Era un acquisto simile a quello che Inghilterra e Olanda avevan fatto centocinquanta anni avanti con gli esuli ugonotti. Erano nella maggior parte uomini di cultura, e la cultura nell’800 primeggiava nella gerarchia dei valori della vita europea”.
Per comprendere questo riferimento, va ricordato che nel 1685 in Francia, per volere di Luigi XIV, fu emanato l’Editto di Fontainebleau. Questo, oltre a revocare formalmente l’editto di Nantes del 1598, che a lungo aveva garantito la condizione degli Ugonotti, cioè dei francesi di confessione protestante, sancì che da quel momento in poi i protestanti potevano restare in Francia a condizione di non esercitare più il loro culto. L’Editto di Fontainebleau concludeva una lunga fase di persecuzioni e di vessazioni nei confronti dei protestanti. La conseguenza fu che centinaia di migliaia di Ugonotti scelsero l’esilio, rifugiandosi soprattutto in Inghilterra e nei Paesi Bassi, ma anche in Prussia.
Laddove altri parlano sprezzantemente del “partito moderato”, lo studio della storia mi ha insegnato ad apprezzare le persone che sostennero e continuarono la politica di Cavour (purtroppo morto il 6 giugno 1861). Sia per le qualità personali, sia per la loro esemplare dirittura nell’amministrazione della cosa pubblica. Voglio ricordare quelle che, secondo me, sono le sei personalità più significative della Destra storica: Luigi Carlo Farini, Bettino Ricasoli, Giovanni Lanza, Quintino Sella, Marco Minghetti e Silvio Spaventa. Il più vecchio fra loro era Ricasoli, nato nel 1809 (un anno prima dello stesso Cavour); il più giovane era Sella, nato nel 1827. I luoghi di nascita dei primi cinque si trovano nell’Italia del Centro-Nord, anche se gli attuali leghisti non lo sanno, o lo hanno dimenticato.
Come hanno dimenticato i legami politici fra l’abruzzese Spaventa e la città di Bergamo che, a partire dal 1877, per quattro volte lo elesse proprio deputato (Legislature XIII, XIV, XV e XVI), con il convinto sostegno dell’ex sindaco e senatore Giambattista Camozzi.