di Irene Pazzaglia
Il papà di Giovanna, il film di Pupi Avati presentato recentemente al festival di Venezia, affronta con estrema delicatezza un tema drammatico: l’amore di un padre nei confronti della figlia, amore che va al di là del fatto che questa abbia commesso un omicidio.
A Bologna, durante il regime fascista, la diciassettenne Giovanna frequenta un prestigioso istituto. La ragazza è l’unica figlia di Michele Casali, insegnante di disegno nel medesimo liceo, un uomo mite e ormai assuefatto ad una vita modesta, anche se non del tutto rassegnato a chiudere nel cassetto le velleità artistiche e i sogni di gioventù.
Giovanna è timida, bruttina e introversa, abituata ad essere ignorata dai compagni di scuola.
E’ chiusa in un suo mondo interiore del quale non rivela quasi nulla; nutre un sentimento di amore-odio nei confronti della madre, una donna bellissima e ammirata che si muove con disagio e con malcelata indifferenza nell’ambito di un contesto familiare che sembra quasi non appartenerle.
L’unica persona con la quale Giovanna ha un dialogo è il padre, che le vuole bene e che la mette al centro del suo mondo.
Michele, nel tentativo di dare fiducia alla figlia e di infonderle un po’di coraggio nell’affrontare la vita, cerca di proteggere teneramente Giovanna dalle delusioni, convincendola del fatto che la volontà è sufficiente a fare avverare qualsiasi nostro desiderio.
Accortosi che la figlia nutre una particolare simpatia nei confronti di un compagno di scuola, il professor Casali parla con il ragazzo, incoraggiandolo a frequentare Giovanna in cambio della promozione.
Tuttavia gli eventi prendono una piega terribile e inaspettata. Giovanna, che dietro la sua apparente timidezza nasconde una tendenza a stravolgere totalmente la realtà a favore delle sue aspettative e un folle rancore nei confronti delle delusioni che riserva la vita, uccide una sua compagna di classe, rea di intrattenere una relazione con il ragazzo dei suoi sogni.
Sotto il colpo terribile di un tale avvenimento la famiglia del professor Casali si sfascia.
La prima reazione di Michele è di totale, commovente incredulità: davvero lui non riesce a capacitarsi di come la sua bambina, la sua Giovanna, così indifesa, timida e mite, possa aver compiuto un gesto talmente atroce.
La madre della ragazza, Delia, dopo la disperazione iniziale tenderà sempre più a prendere le distanze dalla figlia, giungendo al punto di non volerla più neppure sentire nominare.
Le sorti di Giovanna vengono decise in un lungo e travagliato processo, al termine del quale la giovane, giudicata incapace di intendere e di volere, viene rinchiusa nel manicomio di Reggio Emilia, dove rimane per più di sette anni, mentre Bologna è scossa dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Ad andare a trovare Giovanna è sempre ed esclusivamente il padre, che non vuole abbandonarla neppure quando si rende conto che la ragazza non prova alcun pentimento nei confronti di quello che ha commesso, e che nella sua follia è anzi convinta che, ora che ha tolto di mezzo la sua rivale, il compagno di scuola oggetto della sua ossessiva infatuazione avrà occhi soltanto per lei.
Di fronte alla labilità psicologica della figlia e all’insopportabile peso di una terribile verità, Michele prova un lancinante senso di colpa; è convinto che la responsabilità di quanto accaduto sia soprattutto sua, e per questo cerca di proteggere Giovanna e di starle accanto più che può; si trasferisce perfino nelle campagne circostanti Reggio Emilia, scampando ai bombardamenti che devastano Bologna. Il manicomio, con le sue scene di ordinaria follia, diviene così un rifugio dove padre e figlia si fanno sostegno a vicenda aggrappandosi l’uno alla vicinanza dell’altra.
Alla fine, quando la ragazza torna a casa, Delia si riavvicina al marito e alla figlia e riprende la convivenza con loro.
Il film, che probabilmente si ispira a terribili fatti di cronaca come l’omicidio di Novi Ligure, è innanzitutto la storia di un legame d’amore, di un rapporto stretto che si nutre di una forma di comunicazione particolare ed esclusiva, ed affronta il tema dello squilibrio mentale con una delicatezza a tratti commovente.
Pupi Avati traccia mirabilmente il ritratto di questo padre mite e gentile che non abbandona mai quella che considera sempre e comunque la sua dolce bambina, nonostante il terribile gesto che ha compiuto e che ha segnato la vita di entrambi.
Un gesto di cui nessuno ha veramente colpa e che non poteva essere in nessun modo evitato, perché frutto di uno squilibrio che un genitore difficilmente può percepire nella sua interezza, pur vivendo a stretto contatto con il figlio, che resta comunque la creatura che si è vista nascere e crescere, qualunque cosa succeda.