AUSILIA GUERRERA
Si dice che la magia svanisce perché la gente dimentica; allora a cosa attribuire la malia di Pompei, ora che gli scavi resteranno chiusi? Visto e considerato che la notizia fa più notizia degli scavi aperti al pubblico: stop alle visite guidate in tredici domus.
Cosa pensare di un’altra immersione nell’oblio del tempo, di Pompei?
La città, locus amoenus della Campania Felix, sommersa dall’eruzione del Vesuvio nel fatidico 79 d.C., rischia di essere sommersa nuovamente, questa volta però, dalle scartoffie della burocrazia. Una burocrazia rivaleggiante con la mitologia, la quale attribuiva al gigante Alcìoneo, incatenato e imprigionato sotto la montagna, l’eruzione vulcanica. L’ultimo dei poeti pagani, Claudiano, la riporta al racconto dei giganti, e trova anche per il Vesuvio un mostro da collocare sottoterra in catene, a cui attribuire la colpa di terremoti ed eruzioni: <
Oppure, la notizia di una prossima chiusura al pubblico degli scavi, è solo espressione del carattere pittoresco approssimativo degli italiani? Colpo di grazia, dunque, al turismo campano e non solo. A chi darà la colpa questa volta il vox populi, il popolino credulone dei conti e racconti mitologici…?! Parafrasando l’ode di Manzoni: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, noi cosa tramanderemo ai posteri? Cosa ci restituiranno i secoli a venire? Anziché i fasti e le vestigia della città sommersa dalla lava, e una mitologia degna di nota, una lava di scartoffie e di pratiche sonnolenti della burocrazia italiana, che solo a esporle al sole ci auguriamo evaporeranno come fantasmi!… Meglio non serbare la memoria di una vergogna storica simile, che fa della nostra terra il cliché della terra dei morti. I napoletani non sono considerati popolo, con una cultura da custodire da tramandare e da tutelare, ma tutt’al più pittoreschi superstiti di una terra dov’era stata Pompei…
Il fluire del tempo non ci restituirà più i fasti di una civiltà ma i nefasti di un’inciviltà, che vuol consegnare all’oblio del tempo le ruine, patrimonio mondiale dell’umanità, secondo l’Unesco, che colloca Pompei al secondo posto fra i siti museali più visitati d’Italia. Bisogna essere corazzati d’amore per l’antichità, per conservare entusiasmo fra tutti i fastidi che aspettano il visitatore di questi scavi, così come bisogna avere gli occhi bendati di prosciutto ed i paraocchi, per fare una politica che seppellisce l’arte sotto cumuli di dossier immobili, che non troveranno la giustificazione geologica degli strati su strati di sedimenti di cenere che hanno però preservato le Ruine Pompeii. Quella la natura del Vesuvio e del gigante Alcìoneo, questa l’indole e la statura dei politici – il loro talento, la loro virtù ed anche l’ambizione, per non parlare poi di un’improbabile avidità di bellezza e di gloria – che certo non “giganteggiano” agli occhi del mondo. A quale minimo fattore ci inchiniamo?
Quali scelte ministeriali tolleriamo, che non dissimulano le condizioni di estrema decadenza dell’Italia nella vita sociale nella politica e nell’arte, nelle scelte estetiche? Ci si chiede quali possano essere le pregiudiziali politiche, i vincoli che rendono così parziali i punti di vista degli uomini grandi forse troppo impegnati a riflettere se stessi in ogni spettacolo osservato, piuttosto che propensi a valorizzare i Beni culturali. Un mondo senz’arte, che non ispira arte, è superfluo e disincantato, e non è una ragione di orgoglio e un esempio di civiltà, ma sicuramente un segno dei tempi. Innegabile il fatto che dalla cultura derivi quella somma di principi che informano la vita al culto della virtù e della gloria: quante figure, quanti esempi nella classicità, per non tenerne conto!
Difficile competere con l’antico fatum che il Vesuvio vanta: ma sembra davvero che una classe politica, parvenue per subcultura esibita, ce la stia mettendo proprio tutta a scalare in fretta le vette di una famigerata notorietà, con un’eco planetaria, molto più in fretta di quanto il Vesuvio stesso c’impiegò ad eruttare la lava incandescente ed i lapilli su Pompei. Non è proprio un clima di “anticomania”. Forse un appello al senno politico della classe dirigente per regolare la materia, potrebbe giovare. Scarse le notizie di una mobilitazione politico-tecnica della Soprintendenza dei Beni archeologici a riguardo, nonostante Monti si sia pronunciato in merito, varando un piano per gli scavi, perché “Pompei resti in piedi con elevati standard di qualità”, anche per ovviare all’ennesime ferite dell’incuria, che ha procurato ancora nuovi crolli di antiche mura, scempiando il perimetro dell’area archeologica.
Non si tratta solo di crepe crolli frammenti frantumanti di mosaici ricoperti di muschio ed ortiche (per cui davvero salta agli occhi l’assenza di una manutenzione ordinaria), ma anche di interi percorsi cancellati dalla mappa del flusso turistico a causa della mancanza di soldi e di personale sufficiente per mantenere aperte e vigilare le Domus: la domus degli Amorini Dorati, la domus dei casti Amanti, la domus della Fontana Piccola a Mosaico, l’Ara Massima, ecc. Pompei attualmente è un cantiere, en plein air (sferzata dalla vis degli agenti atmosferici), per la gestione del piano dei cantieri in atto, tesi anche a ridurre l’impatto sul “Grand Tour”, di quest’isola nello spazio del sito archeologico, ma non più isola nel tempo che la corrode. All’assalto delle truppe turistiche è subentrato l’assalto del tempo. Laddove il sogno mitologico pompeiano incontra la realtà, il tempo rincorre il presente. È un’usurpazione, un’avida limitazione del nostro diritto al bello.