Il nostro padrone è il lettore

di PAOLA FERRARIO

Trent’anni fa, la mattina del 17 luglio, moriva a Vicenza, sua città, il giornalista e scrittore Gigi Ghirotti. Stroncato da un linfogranuloma maligno chiamato morbo di Hodgkin. Una malattia neoplastica che aggredisce il sistema linfatico. Un cancro.

Gli fu diagnosticato nel 1972 ma lui non si arrese e per due anni lottò contro la malattia, attraverso una lunga trafila di ricoveri nelle strutture ospedaliere pubbliche.

Raccontò la sua esperienza come malato nel libro “Lungo viaggio nel tunnel della malattia” ed in alcuni articoli sulle pagine de “La Stampa” descrivendo i vari problemi delle strutture ospedaliere pubbliche italiane e il senso di isolamento dei malati che egli stava vivendo sulla sua pelle.

Per tutta la vita non aveva fatto che un mestiere: il giornalista.

Entrato nel 1945 a “Il Giornale di Vicenza”, per passare a “La Stampa” (1950-1958), quindi a “L’Europeo” (1958-1960), poi ancora a”La Stampa” (1960-1974).

Attento osservatore della realtà italiana del dopoguerra, soprattutto degli anni del cosiddetto boom economico, aveva indagato, firmato articoli, scritto libri, su personaggi e svariati temi.

Cronista attento Ghirotti, preciso come pochi, in poche parole un uomo di carta stampata. Ma soprattutto un uomo libero e onesto.

Talmente onesto che semplicemente alle dieci di una domenica sera- era il 27 maggio 1973- Gigi Ghirotti decise di farsi riprendere, in pigiama e vestaglia, dall’obiettivo di una telecamera e di mostrarsi in televisione mentre, in un corridoio di ospedale, intervistava medici e compagni di malattia.

E narrava dell’isolamento dei malati, dell’insufficienza delle strutture sanitarie( problema ancora purtroppo molte volte attuale) delle carenze dell’assistenza pubblica. Della paura e del dolore. Come se il malato fosse una terza persona e non lui stesso.

Il servizio venne trasmesso, sul secondo canale sotto la testata “Orizzonti. L’uomo, la scienza, la tecnica” di Giulio Macchi.

La trasmissione fu seguita da otto milioni di italiani.

Fu per tutti il toccare con mano la sofferenza, la solitudine, l’emarginazione del malato.

Certo, in trent’anni molto è stato fatto, soprattutto sotto il profilo psicologico-assistenziale,  come sia normale oggi discutere di diagnostica, cure palliative, di terapia del dolore, questo grazie anche ad Umberto Veronesi.

Ma trent’anni fa molto meno. Ma era proprio questo lo scopo del giornalista vicentino.

Gigi Ghirotti con la sua umiltà di cronista è stato uno dei pochi che ha lasciato in profondità il segno del cambiamento dando una svolta alla condizione del malato.

Un giornalista come lui non ci si stanca mai di ricordarlo, infatti quest’anno a dicembre si è tenuto un incontro in memoria sua dove erano presenti vari giornalisti e personaggi di primo ordine come Umberto Veronesi e Bruno Vespa.

Ma soprattutto non ci si stanca di ricordare che il buon giornalismo piano piano sta scomparendo lasciando spazio all’inutile corsa a chi vende più copie o al numero di odience.

Chissà cosa avrebbe pensato Ghirotti di tutto questo. Di come sia diventata l’Italia, che poi più di tanto non è cambiata.

Forse Lui avrebbe suggerito di ritornare al buono e caro giornalismo di strada, quello fatto da una scrittura semplice ma allo stesso tempo elegante, da una profonda e accurata analisi delle fonti in modo da non ingannare i lettori e rendere sempre e comunque comprensibile gli scritti.

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