Fausto Coppi: analisi sociologica di un mito

di THOMAS MARGONI

Sono passati 51 anni dalla sua morte. Eppure, cosa che accade rarissime volte, la sua figura non ha perso nulla della lucentezza di cui si era rivestita in vita. Anzi, l’ha vista addirittura aumentare.

Cosa rende il mito di Fausto Coppi così impenetrabile, da parte delle incrostazioni del tempo? Come mai è così differente da qualunque altro personaggio dello sport di tutti i tempi e luoghi?

L’analisi non può essere ridotta alle (incredibili) imprese sportive compiute da quest’uomo, che segnò per vent’anni la vita quotidiana, non già la sola passione domenicale, delle persone che ebbero la fortuna di vederlo (o spesso di sentirne raccontate le gesta) in competizione. L’obiettività della disamina non può prescindere dalla congerie storica in cui la carriera del Campionissimo si dipanò: il secondo conflitto mondiale, pregno di tragedie e di umiliazioni per l’Italia e gli italiani tutti, ed un dopoguerra irto di enormi difficoltà materiali come spirituali, furono sottofondi ‘ideali’, se mi è permesso usare questo aggettivo, affinché le straordinarie vittorie dell’Airone trovassero eco ancora superiore a quella che già avevano.

Gli italiani, come ben dice Mario Fossati, “non sapevano più nemmeno come si facesse non a ridere, ma a sorridere”, e la loro vita trovò nelle soddisfazioni che il ciclismo, primo sport all’epoca, sapeva dare al nostro Paese un motivo di riscatto, specialmente verso i francesi, il cui odio, è la parola giusta, verso di noi raggiungeva punte di acerrimo impatto. La rivalità con Gino Bartali, altro ‘mostro’ del pedale, regalò all’italiano quella possibilità di scegliere tra due fazioni opposte che, da sempre egli preferisce come tipologia di opzione, in politica come nello sport o negli altri ambiti.

Dal punto di vista atletico, Coppi fu campione di incommensurabile grandezza, riuscendo a compiere gesta mai prima realizzate e che mai potranno essere emulate. La capacità di esprimere potenza in salita come sul passo lo rese capace di fughe che la mente umana difficilmente può realizzare, se non con categorie non convenzionali. Tratti da extraterrestre caratterizzano le medie che riusciva a sviluppare su strade simili a mulattiere. Uomo schivo e timido, ma di intelligenza e classe raffinatissime, seppe affascinare anche i tifosi del rivale toscano, in virtù di una umanità e di una ‘vicinanza’ alla gente comune, che lo resero popolarissimo, pur trattandosi di una personalità del gotha dello sport, come tale giocoforza un po’ astratta rispetto al livello delle folle.

L’Istituto Nazionale di Ricerca arrivò alla conclusione, che sbalordì anche il Presidente del Consiglio Alcide Degasperi, che il suo nome era stato stampato più volte di quello di Benito Mussolini. Una cosa incredibile.

La morte tragica del fratello Serse, la sua “fuga” d’amore con Giulia Occhini, impossibile per l’Italia benpensante e bigotta del tempo, lo misero di fronte a difficoltà umane che ognuno di noi può trovarsi ad affrontare, acuendo quell’alone di ‘parafulmine etico’ (la definizione è di Rino Negri) che naturalmente emenava. Fu addirittura processato e la compagna, imprigionata, tutto per la loro relazione clandestina.

La sua morte, stupida anche se si vuole, nella sua colossale insensatezza, lo circondò dell’aureola di immortale assoluto che nello sport, almeno questo è il mio pensiero, solo questo personaggio unico, ha avuto, ha tuttora, e avrà in futuro.

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