di Irene Pazzaglia
Da Rembrandt a Vermeer: Valori civili nella pittura fiamminga e olandese del ‘600. Così si intitola l’esposizione che, fino al 15 febbraio, ospiterà al museo del Corso di Roma cinquantacinque dipinti di alcuni dei più significativi pittori olandesi e fiamminghi del XVII secolo. La mostra vuole fornire una descrizione visiva di quello che è stato definito “il secolo d’oro della pittura fiamminga”, mostrandone gli sviluppi artistici non soltanto inquadrandoli da un punto di vista storico, ma presentandoli anche attraverso la peculiare prospettiva della cultura nederlandese e attraverso il modo in cui essa concepiva il rapporto tra arte e natura, tra momenti di vita quotidiana e insegnamenti di carattere morale.
Nei pannelli introduttivi viene fatto largo spazio alla storia dei Paesi Bassi, una cui pur superficiale conoscenza è indispensabile per una migliore comprensione delle opere esposte.
Nel XV secolo sia l’attuale Belgio che l’odierna Olanda facevano parte del ducato di Borgogna, un piccolo regno situato tra il territorio della Francia e quello dell’Impero, la cui corte, fino alla morte di Carlo il Temerario nella battaglia di Nancy (1477), godette di una certa autonomia e di un certo prestigio. All’inizio del Cinquecento, in seguito all’estinzione della dinastia di Borgogna, il ducato passò a Carlo V e da allora fu governato dalla monarchia spagnola. Ma dopo anni e anni di lunghi conflitti, causati in parte anche da contrasti di natura religiosa, gli antichi Paesi bassi borgognoni si affrancarono dal governo spagnolo, determinando la nascita della repubblica olandese. Una sorte diversa conobbe il Belgio, che, unitamente alle province dell’Olanda meridionale, rimase sotto il dominio asburgico. Questa divisione, oltre ad influire fortemente anche sulla produzione artistica determinando due distinti sviluppi della commissione delle opere d’arte, comportò la penetrazione nei territori delle Fiandre del cattolicesimo controriformista, che preparò il terreno ad una notevole influenza della pittura italiana. Molti artisti, infatti, si recarono a Roma per studiare le opere dei grandi maestri e per aquisirne la tecnica. In un simile contesto si sviluppò il fenomeno dei cosiddetti “caravaggisti di Utretch”, una scuola pittorica fortemente contraddistinta, nell’uso particolare della luce e delle ombre, dall’influenza del Caravaggio. Fu proprio dai caravaggisti che pittori come Rubens, Vermeer e poi, in maniera indiretta, lo stesso Rembrandt, che pure non si era mai recato a Roma, derivarono quella tecnica peculiare nella resa della luce nella rappresentazione degli interni e delle scene di vita quotidiana e domestica.
Un notevole esempio dello sfruttamento della luce nella sua alternanza con il buio all’interno di una nicchia in cui è ambientato uno spaccato di vita domestica è rappresentato dalla Vecchia che sbuccia una mela di Nicolaes Maes. L’ambiente, immerso in una semioscurità, ospita una donna anziana intenta appunto a sbucciare una mela, probabilmente durante una pausa dal suo lavoro di filatrice, come attesta la presenza di un arcolaio e di un fuso avvolto nella lana. L’intento dell’artista è quello di evocare la figura e il volto della vecchia e di sottolinearne la virtuosa umiltà, sfruttando mirabilmente il contrasto che si crea tra luci ed ombre. Il fascio luminoso, in contrasto con la penombra che domina la piccola stanza, investe in pieno la donna, svolgendo la funzione di tratteggiarne le fattezze e di evidenziarne l’espressione.
Lo stesso uso caravaggesco della luce si riscontra in uno splendido dipinto di Rembrandt, Il cambiavalute. Diversamente da Jan Vermeer, che in opere come La ragazza con il filo di perle realizza le mille sfumature della luce in modo incredibilmente nitido e preciso, ricavandone un effetto quasi fotografico, Rembrandt ne Il cambiavalute utilizza il chiarore sprigionato dalla fiamma di una candela per mettere in risalto l’espressività del soggetto rappresentato, un vecchio elegantemente vestito che di notte, nella sua abitazione, è intento a contare numerose banconote. Il viso, segnato dalle rughe della vecchiaia ma ancora fiero e pieno di vitalità, è illuminato dalla fiamma della candela che sembra svelare i segreti dell’uomo, sorpreso nella manifestazione della sua avidità. Proprio in relazione a questo si è ipotizzato che il soggetto del dipinto faccia riferimento alla parabola evangelica del ricco agricoltore (Luca,12,13-21).
Questa chiave di lettura rappresenta l’approccio più comune, almeno per la critica più recente, nei confronti della pittura olandese e fiamminga del secolo d’oro, che tra le sue caratteristiche annovera anche l’inserimento, perfino in quelle che sembrano essere semplici rappresentazioni di scene di vita quotidiana, di avvertimenti di carattere morale, spesso tratti da episodi del Vangelo, di cui i soggetti dei quadri sono una raffigurazione simbolica.
E’ questo il caso del dipinto di Joachim Wtewael, esplicitamente intitolato Interno di cucina con parabola del grande banchetto, dove la scena, apparentemente dominata da una cucina all’interno della quale cuochi e servitori si affaccendano intenti a preparare un sontuoso pranzo, si snoda in realtà su un ampio porticato che fa da teatro alla parte più importante della vicenda, quella in cui un servo, fedelmente alla parabola evangelica (Luca 14, 15-24), si aggira per le strade invitando i poveri alla mensa del suo padrone.
Altri dipinti di carattere moraleggiante sono l’Interno con allegra compagnia di Willelm Pietersz Buytewech, e Il battesimo del bambino di Jan Steen, che si avvicinano, pur senza rientrarvi pienamente, alla categoria dei Boordeltjes, ovvero quelle opere che avevano la funzione di fungere da ammonimento contro il vizio raffigurando scene di dissolutezza ed esempi di comportamenti riprovevoli. Tra i Boordeltjes presenti all’esposizione, uno dei più rappresentativi è senza dubbio quello di Crabeth il Giovane, intitolato I bari, che allude chiaramente alla parabola del figliol prodigo.
Tuttavia la mostra lascia largo spazio anche a dipinti che non contengono insegnamenti di tipo moraleggiante; grande rilievo è dato alla serie di ritratti di famiglie aristoratiche o alto-borghesi che riflette la tendenza, tipica dell’epoca del secolo d’oro, a realizzare dipinti direttamente su richiesta dei ricchi clienti che vi venivano raffigurati, laddove l’opera d’arte acquisiva una valenza puramente commerciale. Appartengono a questa categoria di quadri La famiglia del borgomastro di Amsterdam di Gabriel Metsu e Ritratto di una coppia di Wallerand Vaillant.
Conclude l’esposizione una sala interamente dedicata alle rappresentazioni paesaggistiche, tra cui Il Paesaggio italiano con armenti di Johann Heinrich Roos che, unitamente al Toro di Paulus Potter, racchiude il tentativo di raffigurare una campagna ideale, dominata da una tranquillità idilliaca, in cui il tipico paesaggio olandese lascia spazio alle suggestioni e alle influenze della pittura italiana.
Di fronte ad una gamma così vasta di suggestioni, di significati e di utilizzi dell’arte, da mercificato strumento di celebrazione dei ceti sociali più elevati a fonte di ammonimenti morali, a rappresentazione di un microcosmo naturale fortemente idealizzato, non si può che rimanere affascinati, oltre che conquistati dall’alternanza di luce e ombra nei dipinti che del periodo d’oro della pittura olandese e fiamminga conservano il fulgido splendore.
Da Rembrandt a Vermeer: Valori civili nella pittura fiamminga e olandese del ‘600
Roma, Museo del Corso, 11 novembre 2008 – 15 febbraio 2009