Se le parole fanno pensare, ma non capire: la scelta di Montaigne

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Ora, spesso, parliamo, anche per ore, ma non ci capiamo. Poi magari, nel silenzio, altri si capiscono. Lì qualcosa ci fa scattare un campanello d’allarme: come mai qualcuno arriva al traguardo del successo comunicativo e talaltri no? Nel vasto panorama delle interazioni umane, la conversazione rappresenta un arte sottile, una danza di pensieri e parole che richiede non solo abilità retorica, ma anche una profonda apertura mentale. L’affermazione di Montaigne secondo cui “non c’è idea tanto frivola e stravagante che non mi sembri conveniente alla produzione dello spirito umano” suggerisce che ogni parola, ogni opinione, può avere il suo valore se siamo pronti a farne tesoro. Tuttavia, il vero dilemma sorge quando comprendiamo che esiste una netta distinzione tra ascoltare e apprendere.

Se ci troviamo a narrare, raccontare, svuotandoci, con la netta impressione di arrivare fino alla fine rilassati, ma senza aver raccolto nulla, non abbiamo dialogato affatto. E non importa se per questo procedimento stiamo al telefono per ore, non abbiamo risolto niente.

Contrariamente a quanto si possa pensare, la buona conversazione non è il semplice scambio di complimenti o l’evitare conflitti. La vera conversazione è un campo di battaglia intellettuale dove ci si confronta e si mette in discussione il pensiero altrui. Invece di percepire la contraddizione come un’offesa, dovremmo abbracciarla come un’opportunità di crescita. Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui si tende a sostenere che il dialogo sia più fruttuoso quando si evitano le critiche, creando così un ambiente sterile per lo sviluppo del pensiero critico. Questo approccio, dice Montaigne, è deleterio: “non hanno il coraggio di correggere, perché non hanno il coraggio di essere corretti” sembra l’odioso modo di dire ipocrita che invita a non giudicare, per non essere giudicati. Una falsariga del precetto biblico, ma che di religioso non ha proprio niente di niente.

Apparentemente innocuo, questo comportamento porta a una stagnazione del dialogo. Discutere con chi imbroglia il discorso o solleva toni inutilmente elevati può generare più confusione che chiarezza. Ma la questione centrale rimane: come possiamo veramente imparare dagli altri? La risposta risiede nel nostro approccio all’esperienza. Montaigne ci avverte dell’importanza di riflettere sulle esperienze vissute. Meditare sui nostri incontri e interazioni ci consente di regolare il nostro modo di essere e di agire.

La nostra responsabilità, quindi, è duplice: dobbiamo essere disposti ad ascoltare con attenzione e al contempo a esaminare le nostre reazioni e i nostri giudizi. Non è raro criticare gli altri senza guardarci dentro, dimenticando che i nostri difetti potrebbero rispecchiarsi in ciò che condanniamo. La voce della coscienza umana.

In conclusione, la conversazione non è semplicemente un atto di comunicazione, ma un processo dinamico di apprendimento reciproco. La chiave sta nell’imparare a fare tesoro delle parole altrui, affrontando l’arte della conversazione con umiltà e curiosità. Se questo non accade si diventa monologhi, destinati a cercare un uditorio compiacente, per ascoltare la propria stessa voce, gongolando davanti allo specchio del camerino dei teatri, con il destino infelice di trovare altri monologhi e passarsi di fianco, senza aver capito niente e senza essere stati capiti.

Martina Cecco

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