Nella 287esima serata di Lodi Liberale è stato presentato il libro di Maffeo Pantaleoni “Erotemi di economia”, pubblicato da CEDAM, insieme a Manuela Mosca (Professore di Storia del pensiero economico all’Università del Salento), Piero Bini (Professore di Economia e Storia del pensiero economico all’Università di Roma Tre) e Nicola Giocoli (Professore di Economia politica presso l’Università di Pisa).
Il presidente di Lodi Liberale ha presentato la serata e gli ospiti e ha introdotto le discussioni leggendo diversi passi scelti dall’opera in questione, per mettere in luce alcuni concetti liberali politici emblematici, rispetto alla concezione dello Stato in seno all’economia, insomma per il legame tra la coercizione e la forza, che ha cause e risvolti economici e sociali. L’intervento pubblico si basa a prescindere infatti su decisioni coercitive, più o meno democraticamente concesse, ma non concertate nello specifico contesto.
“Si possono individuare tre fasi nella produzione scientifica di Pantaleoni, della prima fase troviamo solamente due saggi, di economia pura, aderendo al metodo marginalista; il suo approccio micro minimalista prevede in gran parte l’uso della matematica, una teoria del valore basata sull’utilità, alla teoria della produzione.”
“Pantaleoni pubblica diversi articoli di ricerca economica, gran parte del suo lavoro tuttavia è anche legato alla politica. La sua personalità non incline ai compromessi lo porta a una serie di avventure e di disavventure. I due saggi degli Erotemi di questa fame sono del 1892 e del 1897. La seconda fase della storia di Pantaleoni va dal 1898 al 1914, questa è l’epoca più fertile, ha una brusca virata teorica, si distacca dalla teoria dell’equilibrio e cerca di estendere i confini della teoria economica, allargando il campo in categorie economiche che i colleghi non hanno mai utilizzato. Diventa in questo periodo un Deputato radicale, antistatalista e antisocialista.”
“Negli Erotemi ci sono 3 saggi del 1898. Anche in questo caso conferma la teoria evoluzionista che egli applica al sociale, economico e politico. Definisce la Concorrenza come un mare in ebollizione e uno dei fenomeni più importanti per l’innovazione. Il collettivismo, secondo Pantaleoni, è destinato a scontrarsi con la legge naturale. Un saggio del 1903 dove parla dei Trust. Un saggio del 1907 che parla della concorrenza come un movimento accelerato delle trasformazioni delle città, delle produzioni, del ciclo delle generazioni. La sua descrizione è quasi poetica.”
La professoressa Manuela Mosca infine ha presentato la parte finale della sua produzione, ovvero dopo il 1913, dove si comincia a parlare di definizioni, sempre guardando agli aspetti biologici dell’economia. Sostiene che solo una frazione delle persone si riproducono per cui trasmettono i loro geni e non tutti i geni della potenziale umanità. Dell’ultima fase vi è solo un saggio del 1924. Radicale e molto motivato politicamente partecipa con D’Annunzio all’avventura di Fiume e aderisce ai primi fasci con deStefani. Alla fine del saggio critica il fascismo perché vede che rischia di contaminare le corporazioni e i sindacati fascisti con il bolscevismo.
Un modello moderno e ancora valido
Il professor Nicola Giocoli ha letto alcuni passi scelti, che vengono da due saggi citati precedentemente sottolineando la modernità dell’autore e la possibilità di trovare in lui degli spunti ancora attuali.
“Pantaleoni parte sempre dal principio edonistico che, combinato con la forza della concorrenza, comporta un modello antitetico al socialismo. Ogni volta che parlava di qualsiasi argomento, aveva come primo pensiero quello di parlare della teoria economica, applicava i suoi concetti a qualsiasi azione umana.”
“Nel corso della fine ‘800 l’autore denuncia come il governo avesse iniziato a deviare gli interessi di tutti per diventare uno strumento interno: in questo volume troviamo questa riflessione, dove si accusano demagoghi, giornalisti, governatori di perseguire l’interesse personale nascondendosi dietro l’interesse generale.”
Un don Chisciotte di fine ‘800
Il professor Piero Bini ha parlato di vari argomenti, in primis dello Stato Azionistico, che prende parte e azioni in taluni contesti, ad esempio nella produzione degli armamenti. Pantaleone non era la prima volta che considerava possibile un’integrazione dello Stato nella questione economica, ma che non doveva divenire prevalente. Secondo l’autore la questione imprenditoriale doveva rimanere una questione privata e non di Stato.
“In fatto di Autarchia economica denuncia che lo Stato aveva interrotto in qualche modo la catena del valore e che lo scambio in questo modo diveniva problematico. Prevedendo una fase di Autarchia economica, prevedeva che lo Stato economico non poteva arrivare a essere imprenditivo in modo soddisfacente, ma ancor meno in Italia, perché la territorialità è limitata.”
“Egli contrapponeva il Nazionalismo al Socialismo, per cercare di aggirare il concetto collettivo puntando su etica, ideologia e morale, cercando una rifondazione del liberalismo, che fino a quel momento era rimasto vittima del Cattivo governo. Il programma economico sarebbe dovuto divenire il più liberista possibile.”
Il professor Piero Bini ha parlato della Conferenza di Pace di Parigi, che respinse alcune rivendicazioni territoriali, come Istria e Dalmazia, che erano incluse nell’accordo nazionalista di interventismo.
“Pantaleoni criticò la Società delle Nazioni perché non avendo un reale potere non avrebbe potuto svolgere alcun contrasto alla eventuale possibile futura rivalsa tedesca, di cui alla fine del primo conflitto egli era assolutamente certo. Per questo proponeva un esercito europeo che avesse alla base il disarmo delle singole nazioni europee, nel 1916 iniziava a parlare di queste cose, di cedere la sovranità militare alla unità europea, che avrebbe potuto scongiurare una rivalsa tedesca.”
“Egli arrivò a delineare un progetto di Stati Uniti d’Europa fondato sulla potenza militare, la limitazione della sovranità delle singole nazioni e quindi fondato sulla difesa comune. Concludeva quindi che in seguito vi sarebbe stata una maggiore libertà economica e di libero scambio. Egli tutto sommato pensava a un’Europa federalista.”
“La guerra era anche una attraente sfida intellettuale, ma il suo stile provocatorio e indifferente, caratterizzato da scatti di arroganza, era frutto della frustrazione oppure era una battaglia fiduciosa?” Il professor Bini ha messo in evidenza che il suo pensiero arriverà a differire radicalmente dal fascismo e coronarsi nel liberalismo conservatore. Tuttavia la sua partecipazione al fascismo fu vera, come tanti altri personaggi di cultura del tempo, che cercarono una realizzazione nelle maglie filo-fasciste per contrastare il bolscevismo. Una personalità non comune e fuori dagli schemi.
Martina Cecco