Recentemente ho avuto modo di ritrovare una raccolta di discorsi parlamentari e scritti politici dell’On. Pietro Longo, già ex Segretario del Partito Socialista Democratico Italiano ed ex Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica del primo governo Craxi.
Una raccolta dal titolo “Il socialismo della coerenza”, edito da Sugarco nel 1984, con prefazione di Giuseppe Saragat e curato dal saggista e storico Antonio G. Casanova.
Pietro Longo, oggi, ha quasi 90 anni, ma nessuno parla più di lui, né lo si è più visto in giro, da moltissimo tempo.
Vittima illustre del falso scandalo P2 (come lo definì il prof. Aldo A Mola) e della falsa rivoluzione di Tangentopoli (come la definì Bettino Craxi), fu fra quei politici di lungo corso che finirono per ritirarsi, dal 1993 in poi, a vita privata.
Dall’anno orribile, 1993.
L’anno a partire dal quale verranno sdoganate, al governo, le estreme destre e le estreme sinistre, le leghe, i comici in politica, le grande imprese e i Poteri forti nazionali e internazionali. L’anno che segnerà, per sempre, la fine di quasi cinquant’anni di democrazia in Italia, fondata sull’asse fra le forze della democrazia cristiana e quelle della democrazia laica e socialista.
Esponente di spicco di queste ultime, proprio Pietro Longo.
Nato a Roma, classe 1935, figlio della partigiana socialista molisana Rosa Fazio Longo (una delle prime attiviste femministe e una delle prime a seguire Pietro Nenni nella scelta di condanna dell’invasione sovietica in Ungheria, nel 1956), iscritto alla Federazione Giovanile Socialista nel 1951 e partecipe, da quel periodo, alle lotte di lavoratori delle campagne per la riforma agraria contro il latifondo nel Mezzogiorno.
Laureato in giurisprudenza, fu fra i fondatori, nel 1964, del CENSIS, importante istituto di ricerca socio-economica.
Segretario particolare del leader socialista Pietro Nenni, Longo fu nominato capo della sua Segreteria politica, dal 1964 al 1968, gli anni nei quali Nenni ricoprì la carica di Vicepresidente del Consiglio e fu eletto deputato, per la prima volta, nel 1968, nelle file del Partito Socialista Unitario (PSI – PSDI Unificati).
Nel 1969, alla scissione del PSU, partecipò alla ricostruzione del PSDI (nella corrente di sinistra denominata “Democrazia socialista) del quale, nel 1972, fu eletto Vicesegretario nazionale e, dal 1978 al 1985, fu eletto Segretario nazionale, con Giuseppe Saragat Presidente del partito.
Nel febbraio 1989, assieme ad altri esponenti del PSDI favorevoli ad una fusione con il PSI di Bettino Craxi, fra i quali Pier Luigi Romita, diede vita al movimento Unità e Democrazia Socialista (UDS) che, nell’ottobre dello stesso anno, confluì nel PSI e Craxi fece entrare Longo nella Direzione Nazionale del partito.
Il saggio che ho ritrovato – “Il socialismo della coerenza” – è particolarmente interessante in quanto ricorda – attraverso le note introduttive del prof. Casanova e le parole di Pietro Longo – ciò che fu il socialismo italiano ed europeo degli anni d’oro, quando ancora esisteva.
Si parte dagli esordi istituzionali di Pietro Longo, quando negli Anni ’60 scelse di aderire alla corrente autonomista di Nenni, autonoma e contrapposta tanto alla “chiesa” democristiana che a quella comunista. Per la costruzione di un socialismo democratico che andasse oltre i blocchi contrapposti, capace di divenire leader non solo delle forze di democrazia laica dell’epoca, ma anche di una sinistra democratica e riformista, comprendente tanto i socialisti, che i socialisti democratici e i repubblicani, capace di garantire il diritto alla casa, alla pensione, alla scuola e alla sanità pubblica gratuita per tutti e al contempo di snellire l’apparato burocratico statale.
E’ particolarmente interessante un passaggio di Longo, al XV Congresso del PSDI del 1971, nel quale egli parla di salario minimo garantito. E’ interessante, perché di questa scottante tematica già si parlava cinquant’anni fa e a parlarne furono, per primi, i socialisti.
In quel passaggio, Longo, spiega come il primo a proporre il salario minimo garantito (che molti, ancora oggi, vorrebbero negare, in Italia!), fu il Segretario del PSU Mauro Ferri (nominato poi giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga nel 1987), nel 1969.
Nello stesso discorso congressuale, Longo, parla – nell’ambito della riforma delle Regioni – di introdurre forme di democrazia diretta in modo da garantire “una più consapevole partecipazione di tutti i cittadini alle scelte degli indirizzi politici, dei partiti e degli uomini che li rappresentano”.
Molto interessante l’articolo “Questioni di dottrina socialista”, riportato nel testo, che risale al numero speciale della rivista “Ragionamenti”, del 1975.
In tale articolo, Pietro Longo, illustra ed esalta i valori umanistici e libertari del marxismo, ma li contrappone ai principi leninisti e stalinisti, che portarono l’URSS e molti Paesi del Patto di Varsavia a negare le libertà necessarie allo sviluppo di un socialismo effettivo e realizzato.
Non mancano le critiche di Longo al capitalismo e in particolare egli scrive: “il capitalismo presenta inadempienze clamorose nella ripartizione delle ricchezze e dei consumi, nella soddisfazione dei bisogni e nella politica sociale”.
Egli esalta, nello stesso articolo, le conquiste sociali del periodo, quali il divorzio e l’avanzare della libertà sessuale, nonostante il clericalismo culturale imperante in Italia. Purtroppo riscontra anche due mancanze: il fatto che la famiglia “non è interamente fondata sulla permanente libertà di scelta” e che “siamo ancora molto indietro nell’attuazione istituzionalizzata delle forme di democrazia diretta”.
Questo punto, rimarcato più volte negli scritti e discorsi di Pietro Longo, è particolarmente importante, in quanto – nonostante nella Storia della Repubblica italiana nessuno sia riuscito a introdurre effettive forme di democrazia diretta (e sicuramente non lo sono i pastrocchi online proposti dai Cinque Stelle) – i primi a volerle promuovere e introdurre furono proprio i socialisti.
E, accanto alla democrazia diretta, Pietro Longo, nei suoi scritti, parla spesso di un altro principio democratico e sociale, ovvero di autogestione economica (sull’esempio della Svezia e della Jugoslavia dell’epoca), cioè la necessità che i lavoratori diventino proprietari effettivi del proprio lavoro, come peraltro prevede da sempre la dottrina socialista, per l’emancipazione della classe lavoratrice.
In tal senso egli scrisse, nel 1978: “La lotta che noi conduciamo attualmente in Italia è la lotta per reintrodurre nella società e nella realtà economica il momento della responsabilità, dopo che l’ipertrofia dell’assistenzialismo e l’esplosione del rivendicazionismo hanno portato all’attuale deresponsabilizzazione. Quando noi studiamo i possibili progetti di “autogestione”, di “cogestione”, sulla scia di sperimentazioni condotte in altri Paesi europei, non facciamo altro che cercare le vie di un disegno di responsabilizzazione di tutta la società civile, quindi anche a livello della classe lavoratrice, anche delle categorie del lavoro manuale. Noi ci battiamo, cioè, perché, in un quadro di libertà, tutte le componenti della società diventino in un certo senso “ceto medio”.
Pietro Longo, nei suoi scritti e discorsi, peraltro, ricorda come i socialisti democratici – pur ancorati all’Occidente – abbiano sempre promosso un mondo pacifico e multipolare e come avessero un ottimo rapporto con quei Paesi socialisti non appiattiti nei confronti dell’URSS, quali la Romania socialista di Nicolae Ceausescu e la Jugoslavia del Maresciallo Josip Tito Broz, che Longo ricorda per aver saputo “difendere l’indipendenza e la sovranità nazionale creando le basi di un interessante tipo di sviluppo della società, verso la quale è viva la nostra attenzione”.
Da non dimenticare anche la stretta amicizia fra Longo e il leader socialdemocratico tedesco Willy Brandt, di cui egli scrive: “La relazione e l’opera di Willy Brandt si collocano sulla scia di questa grande tradizione che dal punto di vista dei principi discende dal socialismo riformista e democratico che si è sviluppato nei decenni passati soprattutto in alcune nazioni dell’Europa occidentale. (…). Un socialismo democratico e libertario che ha sempre denunciato e combattuto gli egoismi e gli avventurismi del sistema capitalistico, contro le dittature militari e fasciste, contro il colonialismo economico e contro il sistema internazionale fondato sullo sfruttamento di alcuni popoli a vantaggio di altri”.
Un socialismo che, aggiungerei, non esiste più dal 1993, in tutta Europa.
Perché non esistono più quei grandi leader, che furono, a vario titolo, defenestrati (come Craxi, lo stesso Longo e molti altri) o sono morti (come Brandt e Mitterrand).
Ci rimangono le testimonianze, gli scritti, i libri e la memoria di chi avrà il piacere della ricerca di un’epoca che, almeno in Europa, non tornerà purtroppo mai più.
Luca Bagatin