Grecia, Portogallo e dintorni

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di BRUNO POGGI

C’era una volta un paese chiamato Italia che veniva considerato dagli altri partners europei (e dalla “virtuosa” Germania in testa) il fanalino di coda della UE. Quasi quotidianamente l’Italietta veniva descritta come un paese dove si spendeva troppo, che viveva al di sopra delle proprie possibilità e che aveva bisogno di essere rieducato a convivere con le efficientissime economie e sistemi politici dei paesi del Centro-Nord Europa. In questi giorni scopriamo invece che alcuni paesi (Grecia e Portogallo) sono sull’orlo della bancarotta, che la moderna Spagna di Zapatero che solo pochi mesi fa annunciava di averci sorpassato li segue a ruota e che anche la Francia di Sarkozy ha seri problemi (infatti il presidente francese è stato sconfitto nelle recenti elezioni regionali). Non solo, il FMI ci informa che la “virtuosa” Germania ha un debito pubblico pari al nostro dovuto ai ripetuti interventi effettuati per salvare le banche vittime dell’allegra finanza virtuale. Inoltre, il cancelliere tedesco Merkel si rifiuta di intervenire per salvare la Grecia dal crack che rischia di propagandarsi come un virus a molti altri paesi UE.

E sapete chi è stato il primo paese a rendere disponibili 5,5 miliardi di euro per la Grecia? Proprio l’Italia! La riflessione che sorge spontanea è la seguente: per 20 anni ci hanno raccontato un sacco di balle. Ci hanno detto che l’Europa era il nostro futuro, prospettandoci scenari catastrofici in caso di mancata realizzazione di quel progetto europeo con, al contrario, “magnifiche sorti e progressive” in caso di partecipazione al sogno dell’Europa unita. I fatti, però, ci hanno mostrato degli scenari molto differenti: la UE si è dimostrata (sono parole di Jacques Delors) “un gigante economico, un nano politico e una larva militare”.

Abbiamo dovuto chiamare gli americani per risolvere la guerra in Bosnia, i paesi UE si sono divisi sulla vicenda della guerra in Iraq mentre lo sviluppo economico dei paesi membri non decollava e perdevano punti nei confronti delle potenze emergenti come Cina, India e Brasile. Nel frattempo l’introduzione dell’euro riduceva, in tutta Europa, il potere d’acquisto dei cittadini, in particolare dei redditi medio-bassi derivanti dal lavoro dipendente, sotto la presidenza Prodi (che ha fatto danni anche a livello continentale e non solo italiano) veniva deciso un indiscriminato allargamento dell’unione a 27 paesi Europeo venivano eletti due figure scialbe e sbiadite come Van Rumpoy e la Ashton (alzi la mano chi li conosce!). Non solo, mentre all’Italia venivano chiesti continui sacrifici per entrare nell’Euro, la Gran Bretagna ne rimaneva fuori e i paesi dell’Est di nuova entrata non si sa bene quando (e a questo punto se) adotteranno la nuova moneta.

Il mercato aperto e la libera concorrenza si sono dimostrate delle chiacchiere: nel recentissimo caso del vulcano islandese le agenzie di viaggio hanno operato uno sciacallaggio dei biglietti del treno, raddoppiando o addirittura triplicando i prezzi senza che la UE facesse nulla. E l’anno scorso, il “virtuoso” governo tedesco si è opposto all’acquisizione della Opel da parte della Fiat in nome dell’interesse nazionale. A questo punto si impone un rinnovamento profondo della UE con la cessione dei 27 paesi di funzioni di potere reali (ad esempio su temi come la difesa, l’energia o l’ambiente) ma, onestamente, la vedo di difficilissima realizzazione. In caso contrario, il nostro governo ha l’obbligo di pensare (come hanno sempre fatto negli ultimi 15 anni la Francia, la Germania e la Gran Bretagna) a tutelare prioritariamente gli interessi dell’Italia e degli italiani.

Svegliamoci e smettiamola di credere alla favola dell’Unione Europea soluzione di tutti i nostri problemi. Quella UE si è dimostrata essere bcome l’Araba Fenice “che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”

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