Ormai da trent’anni, i partiti storici e democratici, in Italia, sono scomparsi. Per lasciare spazio a gruppi parolai, di destra e sinistra, che, dalla “falsa rivoluzione di Tangentopoli”, come ebbe a definirla il leader socialista Bettino Craxi, hanno ottenuto quella legittimazione che giustamente – dal 1945 – era stata loro negata.
Fra i difensori dell’ordine democratico costituzionale, nato dopo la caduta del fascismo e la nascita dell’Italia repubblicana, un esponente assai poco approfondito, ovvero quell’Alberto Simonini, socialista democratico, che – da operaio – divenne nel corso degli anni, Ministro della Repubblica.
E’ a lui, emiliano doc, nato nel 1896, che è dedicato l’agile volume storico e commemorativo del prof. Michele Donno, edito da Rubbettino, con prefazione di Giuseppe Amadei, già collaboratore di Simonini e deputato socialdemocratico.
Avente per simbolo il Sole Nascente, di ispirazione garibaldina e turatiana, quello che diverrà il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), nel 1951, sarà partito di sinistra di ispirazione marxista democratica, che si porrà quale argine agli opposti estremismi, di destra e sinistra, nel corso della Prima Repubblica.
Alberto Simonini, figlio di un ferroviere e di una contadina, autodidatta, iniziò la sua carriera professionale come operaio meccanico a Reggio Emilia.
Negli Anni ’10, affascinato dal socialismo umanitario del deputato del PSI, Camillo Prampolini (1859 – 1930), costituì un circolo giovanile socialista e divenne fervente antimilitarista e, per questo, fu spesso condannato.
Nel 1914 divenne collaboratore del giornale fondato da Prampolini, “La Giustizia” e, pur rimanendo affascinato dall’esperienza della rivoluzione russa degli anni successivi e collocandosi su posizioni “comuniste unitarie” all’interno del PSI, si schierò presto dalla parte dei riformisti di Filippo Turati, Giacomo Matteotti e dello stesso Prampolini, contro lo spirito violento dei massimalisti.
Secondo Simonini, come secondo Prampolini, Turati e gli altri riformisti, compito dei socialisti doveva essere quello di diffondere – fra contadini e operai – idee cooperativistiche e di emancipazione sociale, nel solco della democrazia. Senza cedere a illusioni massimalistiche e alla violenza.
Sarà questo aspetto che lo porterà, assieme anche a Giuseppe Saragat, a scegliere di rimanere nel PSI, quando nel 1921, una parte dei massimalisti, deciderà di abbandonare il partito per fondare il Partito Comunista d’Italia (PCd’I).
Nel 1922 aderirà al Partito Socialista Unitario (PSU), assieme a Turati, Prampolini, Matteotti, Buozzi e Treves.
Saranno quelli gli anni dell’intensa attività sindacale di Simonini, il quale – a differenza dei comunisti e dei massimalisti – riteneva che il sindacato dovesse essere indipendente da ogni influenza partitica ed accettare che vi aderissero lavoratori di ogni tendenza politica.
E, in qualità di socialista e sindacalista, fu attivo nel respongere – fisicamente – gli assalti dei fascisti contro le sedi politiche e sindacali nella città di Parma.
Quando il fascismo dissolverà i partiti socialisti, Simonini e gli altri entreranno nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Dopo la caduta del regime fascista si ripropose, in ambito socialista, la possibilità di riunificare le due anime, quella massimalista del PSI (più conciliante nei confronti del Partito Comunista), guidata da Pietro Nenni e quella riformista, comprendente – fra gli altri – Simonini, Saragat e Ludovico d’Aragona.
La prospettiva riformista guardava all’idea di una sorta di “terza forza”, centrista, secondo la quale l’Europa dovesse rimanere indipendente dai due blocchi, USA e URSS, promuovendo un socialismo democratico, che richiamasse l’esperienza originaria di Marx e l’idea dei primi Soviet, ovvero consigli democratici diretti, formati da operai e contadini, privi di quelle tendenze burocratiche e statolatriche degli anni successivi al 1917.
Fu così che, lungi dal riunificare le due anime socialiste, nel 1947, i riformisti – con Simonini Segretario nazionale e ormai deputato – daranno vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), al quale peraltro aderirà anche la già rivoluzionaria russa Angelica Balabanoff (1878 – 1965).
Fu così che, il PSLI, entrerà a far parte del Governo De Gasperi, dando vita al Quadripartito, assieme a repubblicani, liberali e democristiani, in modo da arginare – nella visione di Simonini e del suo partito – ogni pericolo totalitario, provenisse esso da destra o da sinistra.
Nel 1950, Alberto Simonini sarà nominato Ministro della Marina Mercantile e, l’anno successivo, il PSLI cambierà nome in Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) e tale rimarrà il nome sino alla sua dissoluzione, in particolare a causa della già citata falsa rivoluzione di Tangentopoli, nel corso degli Anni ’90.
Della storia del PSDI, ad ogni modo, il prof. Michele Donno ha scritto altri interessanti saggi, le cui recensioni vorrei rimandare ad altro articolo.
Alberto Simonini, divenuto nel 1958 Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni del governo Fanfani, morirà improvvisamente, di attacco cardiaco a Strasburgo, nel 1960, ove si trovava per prendere parte ai lavori dell’Assemblea parlamentare europea.
Fu promotore, a Reggo Emilia, dell’Opera benefica “Camillo Prampolini”, alla quale volle imprimere le sue idee sindacali di emancipazione dei lavoratori e dei loro figli e, ancora oggi, è attiva la Fondazione Alberto Simonini, con sede a Reggio Emilia, rivolta al mondo del lavoro ed alla formazione professionale.
Luca Bagatin