Con un’altitudine media di 1.330 metri sul livello del mare, l’Etiopia è uno dei Paesi più alti del pianeta. La sua vetta più alta è il Ras Dascian che raggiunge i 4.533 metri, mentre Addis Abeba, a 2.355 metri, è la quarta capitale più alta al mondo.
Nelle aule scolastiche degli anni Trenta il tema coloniale occupava una posizione di assoluto rilievo. L’Africa rappresentata dal regime fascista ai bambini è già un modo per dimenticare le infamie della politica di dominio e di sterminio legate alla conquista. Il colonialismo italiano rimane ancora oggi avvolto nell’ombra. Con un’accurata selezione di suoni e immagini dell’epoca, AFRICA BIANCA racconta l’invasione dell’Etiopia del 1936 attraverso i disegni di un piccolo balilla.
Nel villaggio di Megendi l’ostetricia sta cambiando, insieme alla consapevolezza delle donne. Nel pieno di questa evoluzione, la giovane Huluager aspetta il quarto figlio. Nonostante i consigli medici, vuole partorire in casa con l’ostetrica tradizionale Endal, ma sorgono delle complicazioni. Tra tradizione e modernità, strutture patriarcali, e la forza e complessità della solidarietà femminile, le donne si confrontano con il rapporto con il proprio corpo, e con tutti quelli che vogliono decidere per loro.
Asalif, dieci anni, e sua madre sono stati sfrattati dai loro terreni alla periferia di Addis Abeba, in Etiopia, a causa della costruzione di un complesso di condomini. Mentre guardano gli edifici prendere forma, si rendono conto che il sogno di “progresso” del loro Paese non li comprende. Per ribellarsi a quelli che li hanno cacciati e minacciano la sicurezza di sua madre, Asalif usa la fantasia per trasformarsi nel suo eroe: il leone (“anbessa” in amarico).
Il khat, una pianta con foglie dall’effetto stimolante quando vengono masticate, viene raccolto in Etiopia da secoli. Nel suo primo documentario, Beshir ci conduce in un mondo di tale bellezza e lirismo che risulta difficile descriverlo a parole. Un viaggio spirituale con una fotografia ipnotica, FAYA DAYI unisce l’etereo e il concreto, sovrapponendo un altro piano di esistenza alla realtà di questo mondo, abitato dalle stesse persone il cui destino è legato alla casa, alla terra e a ciò che essa produce.
Nel quartiere di Katanga, ad Addis Abeba, l’ostello di Amele Mamo offre un letto e un pasto caldo a chi cerca rifugio nella grande capitale etiope. Ogni giorno arriva una nuova persona, una nuova esperienza, una nuova storia. I due registi etiopi, Hiwot Gataneh e Beza Hailu Lemma, si muovono tra tre luoghi – la città, il quartiere e l’ostello – raccontando con delicatezza cosa significa occupare nuovi spazi di vita e l’importanza quello che chiamiamo “casa”.
Ephraim è un bambino etiope. Suo padre affida lui e la sua inseparabile pecora a dei lontani parenti, lontano dalla sua terra d’origine, afflitta dalla siccità. Ephraim non è molto bravo come agricoltore, ma ha un talento nascosto: è un ottimo cuoco. Un giorno, lo zio gli dice che devono sacrificare la sua pecora per la prossima festa religiosa. Il piccolo, tuttavia, è pronto a fare qualsiasi cosa per salvare la sua unica amica e tornare a casa.
Nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, gli ortodossi etiopi celebrano il Natale. Per essere testimoni di questa fede unica, i due autori sono partiti dalle montagne del Simien per un cammino di 23 giorni fino a Lalibela, in Etiopia. Un pellegrinaggio nel cuore di un’umanità travolgente e di una natura maestosa, un’immersione totale…
Nel Sud dell’Etiopia, l’autista di un’ambulanza deve portare una giovane donna all’ospedale per il parto, ma il più vicino è a 300 km dal villaggio. Un lungo viaggio su una strada fangosa.
Ambientato durante la guerra del Terrore Rosso negli anni ’70 in Etiopia, quando la tirannia politica nel paese creò un’enorme massa di rifugiati in cerca di una via di fuga, e basato su una storia vera, MY LOVE ETHIOPIA segue il viaggio turbolento e mistico di una giovane ragazza alla ricerca della libertà, dopo essere stata separata dalla famiglia.
NEGUS è un documentario concettuale diretto dal duo artistico italiano Invernomuto. Il film esplora la convergenza di storia, mito e magia attraverso le complesse e contrastanti eredità dell’ultimo imperatore etiope Hailé Selassié I. In Italia, durante il governo fascista di Mussolini, Selassié fu ritratto come un diavolo nero, giustificando l’invasione dell’Italia in Etiopia. Nello stesso periodo, in Giamaica stava nascendo il rastafarianesimo, che lo rivendicava come il proprio Dio vivente e il Cristo nero risorto.
Il film conduce lo spettatore in un viaggio attraverso la periferia della capitale etiope Addis Abeba. Con immagini composte in modo rigoroso e una colonna sonora che intreccia e rielabora conversazioni originali, il film parte dal contesto geografico, dall’architettura e dalla vita quotidiana di agricoltori e operai edili nella zona orientale di Addis Abeba (in Oromo: Finfinnee) per sviluppare una narrazione allegorica sull’urbanizzazione delle società africane sull’orlo della guerra civile.
Nardos, una cantante azmari di Addis Abeba, sogna di raccontare con la sua musica le vite della gente comune. Alla ricerca di storie per le sue canzoni, incontra Gennet, una poetessa che vive in strada con i suoi figli. Grazie a Nardos, che comincia a mettere al centro delle sue composizioni la vita delle donne etiopi, i loro sogni e la loro forza, ci immergiamo sempre di più in un Paese in rapida evoluzione.
Un viaggio a Gondar, città imperiale ed ex capitale dell’Etiopia. Il film ci immerge gradualmente nel cuore del Timkat, un affascinante rituale della chiesa ortodossa che commemora il battesimo di Cristo nel fiume Giordano. Ultima città liberata dall’occupazione dell’esercito di Mussolini, Gondar celebra il Timkat anche come simbolo di libertà, incorporando questo rituale nella celebrazione della ricostruzione dell’identità nazionale etiope.