Che il PD non fosse un partito socialista fu forse evidente sin da quando il PCI sostenne l’introduzione dei fascisti Patti Lateranensi in Costituzione (votando assieme a DC e MSI); Berlinguer preferì un compromesso storico con la DC piuttosto che il dialogo con il PSI di Bettino Craxi e quando, il PDS, aggregandosi ai liquidatori della Prima Repubblica e ai favorevoli al metaforico taglio della testa di Craxi (Lega e MSI), sostenne il governo Ciampi. Ovvero quello che intraprenderà, subito dopo Amato, le prime misure di privatizzazione selvaggia tanto amate da un allora giovane Mario Draghi.
Ciò che fu l’Ulivo prodiano e il successivo PD, non fu altro che una prosecuzione di questa storia.
Anziché pretendere una rinegoziazione dei Trattati di Maastricht (come proposto già dal socialista Craxi), si arriverà a varare una moneta unica e un’Unione Europea autoreferenziale e a tratti autoritaria.
Con la benedizione proprio dell’ex PCI, ormai Partito Della borghesia italiana (PD).
Una storia, questa, assolutamente di destra anche se, paradossalmente, era avvenuta in una ormai metaforica “sinistra”.
Non stupisce, dunque, se il PD è oggi il maggior sponsor di Draghi. Non stupisce se è in linea con la totale mutazione antropologica di quella che fu la tradizione social-comunista europea che, ormai, dal 1992 in poi, avrebbe abbracciato il liberal capitalismo assoluto.
Flessibilità del lavoro, Jobs Act, Loi Travail, privatizzazioni selvagge; austerità; rafforzamento delle élite e conseguente perdita di sovranità popolare; apertura indiscriminata delle frontiere e conseguente sfruttamento della manodopera straniera a basso costo; rafforzamento delle istituzioni europee a scapito delle diversità di ogni nazione e dei rispettivi popoli; politica estera di invasione e ingerenza nelle politiche spesso socialiste di Stati sovrani (vedi sanzioni al Venezuela e invasione della Libia di Gheddafi, ma, prima ancora, bombardamento di ciò che rimaneva della Jugoslavia).
Aspetti che, peraltro, Bettino Craxi illustrò molto bene nel suo romanzo-verità, uscito postumo per Mondadori, nel 2020, dal titolo “Parigi – Hammamet”.
In tutto ciò, torna alla mente un intellettuale marxista eretico. Un faro della sinistra eretica e libertaria che, non a caso, con la tradizione pseudo-comunista del PCI, ruppe molto presto.
Lucio Colletti (1924 – 2001), fu partigiano antifascista della prima ora, aderente al più nobile dei partiti antifascisti, ovvero il Partito d’Azione. Successivamente, nel 1947, aderirà al PCI di Togliatti che, rispetto a quello di Berlinguer, manteneva ancora alta una certa tradizione.
Colletti ne uscirà nel 1964, su posizioni di sinistra radicale, fondando, nel 1966, il periodico “La Sinistra”.
Fine filosofo marxista pubblicherà numerose opere sul tema, rinnovando gli studi marxisti occidentali., rifiutando il “materialismo dialettico” e, quindi, dichiarandosi eretico.
Colletti rivendicò dunque una forma di socialismo autogestionario, un “autogoverno dei produttori”, un comunismo libertario e consiliare che mirava a forme di democrazia diretta, ponendosi così alla sinistra di un PCI monolitico e sempre più conservatore, al quale Colletti criticava persino la difesa della Costituzione italiana che il filosofo definiva “democratico-parlamentare borghese”.
Negli Anni ’80 si avvicinò al PSI di Craxi, attraverso la rivista “Mondoperaio” e, negli Anni ’90, divenne persino consigliere di Silvio Berlusconi e fu eletto – da indipendente – parlamentare di Forza Italia, pur mantenendo una posizione eretica rispetto al suo campo e ciò gli attirò numerose critiche.
Colletti, ricordato (comunque poco e in parte) a destra, ma escluso da decenni dalla sinistra, rimane esempio emblematico di intellettuale eretico e “contro”.
E’ emblematico anche perché mette a nudo ciò che fu la sinistra italiana anti-socialista e ciò che essa oggi è.
Un’area, in sostanza, che si finge alternativa al campo della Meloni, Conte e dei Salvini, ma che, in realtà, ne recupera l’atlantismo, la difesa per i ceti borghesi medio-alti e che ha in disprezzo ogni forma di eresia e di socialismo. Socialismo che è difesa strenua dei diritti sociali, controllo del mercato e del settore privato a beneficio della comunità e democrazia diretta, senza mediatori calati dall’alto, che provengano dallo Zio Sam o da Bruxelles.
Occorrerebbe, dunque, più che un campo largo liberal borghese, un socialismo largo organizzato, immenso e rosso, come ha più volte scritto l’amico Manuel Santoro di Convergenza Socialista che, in un articolo del 2018 sulla rivista “Ideologia Socialista”, riportò una definizione del socialismo data dal Partito Socialista del Regno Unito, nel 1904, ovvero quale “sistema della società che si basa sulla proprietà comune e sul controllo democratico dei mezzi e degli strumenti di produzione e di distribuzione della ricchezza nell’interesse dell’intera comunità”.
Senza socialismo non ci può essere democrazia e senza democrazia non ci può essere socialismo.
Ma, entrambe, non potranno esistere senza formazione, approfondimento e eresia intellettuale.
E, affinché tutto ciò viva e riviva, non si può stare né nel campo del PD, né in quello della Meloni, Conte e di Salvini, ma sempre dalla parte opposta rispetto al totalitarismo liberal-capitalista.
Luca Bagatin