Era il 2 maggio 2014, quando militanti di estrema destra e neonazisti ucraini, filo-europeisti, a Odessa, in Ucraina, aggredirono e massacrarono manifestanti comunisti e di sinistra, favorevoli all’indipendenza della regione del Donbass e contro l’entrata dell’Ucraina nell’UE.
Gli aggrediti trovarono rifugio nella Casa dei Sindacati, ma a questa venne dato fuoco dagli stessi estremisti di destra, che impedirono ogni soccorso ai vigili del fuoco.
Nell’incendio, trovarono la morte anche impiegati della struttura e, coloro i quali riuscirono a fuggire, furono massacrati dai neonazisti che circondavano il palazzo.
Nel palazzo furono successivamente trovati corpi carbonizzati, fra cui corpi di donne violentate e seviziate.
La stampa vicina al nuovo governo, filo-europeista e sostenuto dall’UE e dagli USA, minimizzò l’accaduto e diede la colpa ai militanti comunisti e filo-russi. Ipotesi successivamente smentita da testimoni e osservatori.
In quella che fu definita la “Strage di Odessa” perderà la vita anche il diciassettenne Vadim Papura, attivista del Komsomol ucraino (movimento giovanile comunista) e del Partito Comunista d’Ucraina (dal 2015 dichiarato fuorilegge). Anch’egli si rifugiò nella Casa dei Sindacati, assieme ai suoi compagni.
La madre, Fatima, così lo ricordò: “Mio figlio è morto in quella terribile notte. Non aveva ancora 18 anni. Era lì per il suo ideale e i suoi principi. E ora non c’è più. Quando hanno dato fuoco alla Casa dei Sindacati, lui era lì dentro. Provando a scappare dal fuoco è caduto dalla finestra. Il mio bambino era là steso a terra con la testa”.