Federico Ciontoli, con coraggio e con molto equilibrio, ha cercato di porsi di fronte a tutti, utilizzando il social network di facebook, dove sta – giorno per giorno – rispondendo alle domande incessanti dei suoi concittadini italiani, che prendono grazie a lui atto di come si dipanano le vicende giudiziarie laddove vi è un drammatico vissuto.
Federico Ciontoli risponde, commento dopo commento, a tutti coloro che si stanno rapportando (spesse volte malamente) a lui e viceversa via social.
In questo caso (forse uno dei primi in Italia, anche per questo ne parliamo) ci troviamo di fronte alla pura realtà delle cose: cosa succede se una persona che è stata presente in una situazione drammatica, quella dove perde la vita Marco Vannini è di fronte a una platea?
Federico Ciontoli con forza e temperanza procede cercando di spiegare la sua umana posizione con estrema pazienza, come ha esposto anche a Liberalcafé, rispondendo alle nostre domande.
Com’è cambiata la vostra vita alla luce degli eventi?
“Il 17 maggio 2015 rappresenta una frattura irreparabile per tante persone. La nostra vita, come individui e come famiglia, è entrata in un vortice che ne ha cambiato radicalmente il percorso, sia per l’assurda tragicità di quello che è successo, sia per gli assurdi avvenimenti dopo quella sera. In quel periodo, io vivevo a casa di Viola quasi stabilmente, tornavo nel fine settimana a casa mia con lei, per passare del tempo con la mia famiglia.”
Federico racconta la sua situazione di giovane, che ha una vita sociale normale e attiva, fatta di una relazione, della scuola e di tante cose anche piuttosto serie. Insomma, la vita di Federico non è affatto abituata fare i conti con l’improvvisazione, è una vita molto, molto regolare. Da quella sera tutto cambia.
“Per varie ragioni, tra cui la pressione dei giornalisti appostati sotto casa o sui balconi delle case per riprenderci, le minacce di morte scritte con le bombolette sui muri di casa e sulla strada, l’impossibilità di uscire per andare semplicemente a fare la spesa o in farmacia, da quando siamo dovuti “scappare” da Ladispoli, ognuno ha cercato il suo modo per sopravvivere. In quella casa credo sia rimasto tutto com’era, non sono riuscito a prendere neanche i miei vestiti. In quei momenti, e ancora oggi, di questo non mi importa, ma mi fa male pensare di aver perso con tanta violenza il mio paese natale e la casa dove sono cresciuto. Mi sono sentito a lungo apolide.”
Federico era in quella fase della vita in cui tutto cerchi: lavoro, amore, stabilità, ma non certamente un drammatico evento, come quello caduto all’improvviso su di lui. “Per quanto riguarda la mia famiglia, il dolore che provo è troppo forte per vederci, riuscire a parlare o pensare ad altro; ognuno cerca di fare i conti con il proprio dolore per non pesare sugli altri. Ci sono stati lunghi periodi in cui non me la sono sentita di parlare, periodi in cui non ci siamo sentiti né visti, ma il bene per mia sorella, mia madre e mio padre non è qualcosa che può essere cancellato.” Ha detto.
Federico aveva una vita buona, davanti, per questo non demorde: “Per quanto riguarda me, io ho tentato tante strade diverse, cercando di riadattarmi ogni volta ai cambiamenti legati a questa storia. Ho dovuto imparare a non avere progetti, a non avere aspettative, a non aspettarmi niente dalla mia vita, e solo così ho potuto dare al mio corpo e alla mia mente la possibilità di sopravvivere alle esplosioni di emozioni e pensieri che hanno dimorato dentro di me. Ho vissuto per tanto tempo da Viola, ho lasciato l’università, mi sono messo a lavorare, e abbiamo preso una casa in affitto, fino a che i media non hanno distrutto anche quella realtà. Ricordo bene quel momento, il momento in cui ho capito di non potercela più fare, restai per tre giorni sul letto a fissare il muro, cercando di stare il più immobile possibile. Al lavoro mi avevano licenziato, i giornalisti non mi lasciavano uscire di casa (per quasi quattro anni sono uscito una o due volte alla settimana solo per fare la spesa, incappucciato così che non potessero riconoscermi), i vicini mi additavano e mi riprendevano ogni giorno, ero diventato un “fenomeno da baraccone”.”
Federico trova una strada che lo cambia e che gli insegna ad avere comunque fiducia nel futuro: “Decisi quindi, più per disperazione che per scelta, di cambiare di nuovo vita, di provare a trovare un posto dove fossero in grado di superare quel muro di pregiudizio ormai altissimo e andare oltre la mia immagine. Non lo trovai subito, anzi, fui spesso rifiutato, deriso e offeso anche da coloro che dedicano la vita al sociale e al volontariato. Ma poi, con il tempo, ho trovato persone fantastiche che sono entrate a far parte della mia vita e mi hanno aiutato a risalire a galla. Oggi non ricordo quale fosse e come fosse la mia vita prima di questa brutta storia; dal 17 maggio del 2015, senza rendermene conto, ho vissuto tante vite diverse. Nonostante io non sia solo questa storia, oggi la mia vita reale è questa, e se potrò, continuerò con tutte le mie forze a mostrare la persona che si nasconde dietro il nome Federico Ciontoli.”
Come ci si sente a sapere di affrontare una realtà che cambierà per sempre la tua natura?
“Io preferisco parlare di me, di quello che sento io, non saprei trovare le giuste parole per spiegare come si sentono gli altri e non voglio farlo. È molto difficile per me immaginare come sarà la mia vita tra poco più di un mese… Se all’inizio non credevo fosse possibile che i giudici non riconoscessero la non volontarietà di quello che è stato e che quindi mai mi avrebbero potuto condannare per un omicidio volontario, con il tempo, purtroppo, ho imparato a capire che è molto facile fraintendere e farsi un’idea sbagliata. Rispetto e rispetterò la sentenza, se dovrò andare in carcere, è chiaro che ci andrò. Ma continuerò sempre a dire che io mai e poi mai avrei voluto che Marco morisse e che tutto quello che feci quella sera, anche se non fu abbastanza, lo feci solo nell’interesse che lui stesse bene.”
Come si sente Federico, perseguitato dal senso di colpa per non aver compreso i fatti: “Faccio i conti ogni giorno con quello che è stato e con quello che sarà la mia vita tra poco, e nonostante è e sarà dolorosissimo, io, in cuor mio, so che non avrei mai potuto far del male a nessuno, e Marco questo lo sa. Questi sei anni sono stati difficilissimi e tante volte ho toccato il fondo, ho pensato di non potercela più fare a vivere tutto questo. Mi sono privato dei più piccoli piaceri, ho provato a non garantirmi gli agi più comuni, ho provato a sperimentare la mia capacità di adattamento al freddo, al poco sonno, al cibo, per poter essere pronto al peggio. Purtroppo, nonostante io non abbia mai voluto crederci, l’enorme onda mediatica mi ha fatto sempre avere il dubbio che le sorti del processo potessero prendere una piega sbagliata, e fino ad ora non sono stato smentito. Fu per questo timore che per anni scrissi al Presidente della Repubblica per presentargli le mie preoccupazioni. Ho riposto fiducia nella giustizia, ora è rimasto solo un piccolo barlume di questa fiducia. Ma il 3 maggio, in ogni caso, non mi fermerò.”
Federico ha deciso che ce la farà: “In questi anni, ho scritto e letto tanto, mi sono messo a studiare per poter provare a capire cosa fosse successo quella sera nella mia testa, e come fosse possibile quello che stava succedendo mediaticamente e processualmente, ma con la consapevolezza di quello che è stato. Questo mi ha permesso di mettere (in parte) in ordine i pensieri e le emozioni…”
“La mia vita, prima di quella sera, era una vita piacevole. Oggi no. Ma io sono comunque grato di avere ancora la possibilità di viverla, ovunque io sia, dentro o fuori le mura di un carcere. Io non so cosa significhi vivere in carcere, ma so che anche lì dentro ci sono persone che non sono solo la condanna che hanno. E sappiamo anche che in carcere ci sono tante persone che quella condanna non la meritavano.”
Se pensi a quella sera, hai dei rimpianti?
“Certo che ci sono rimpianti. Io vorrei essere stato in grado di capire cosa stesse realmente succedendo quella sera, vorrei non essere stato così ingenuo fidandomi delle parole di mio padre, ed essere andato oltre quello che vedevo. Vorrei fosse possibile chiudere gli occhi e tornare indietro di sei anni, e ci ho provato tante volte. Vorrei che Marco fosse ancora qui a vivere la sua gioiosa vita, vorrei che i suoi genitori e nessun altro avessero sofferto così tanto.”
Federico ripete allo sfinimento che non aveva capito che la vita di Marco fosse in pericolo. Era convinto che non sarebbe successo niente e che sarebbe andato tutto bene.
“Quella sera, per me fu impossibile non fidarmi. Mio padre sembrava sicuro di quello che diceva, e quello che avevo davanti agli occhi non mi fece dubitare. Quando chiamai i soccorsi, sapevo di andare contro la sua volontà, lui sembrava davvero sicuro di riuscire a gestire quella situazione (oggi sappiamo che non è così, ma in quel momento lo sembrava). Io sono una persona che sviene per ogni stupidaggine e anche quello che sembrava un attacco di panico (tra l’altro lo chiamo “attacco di panico”, ma non sapevo i suoi sintomi precisi) era per me qualcosa che non avrei saputo gestire, e nonostante io credessi a mio padre, ho voluto comunque chiamare.”
Io quella sera non ho nascosto nulla, sono andato dai genitori di Marco a raccontare subito quello che era successo. So che è stato un incidente.
Come ti senti o come vi sentite alla luce dell’anticipo?
“Dalle informazioni che avevo, mi aspettavo che la data della Cassazione fosse più in là di qualche mese, come d’altronde un po’ tutti. Nonostante sapessi che questo momento sarebbe arrivato, nonostante siano anni che mi preparo a questa eventualità, nonostante io non voglia ancora credere che possa succedere una cosa così in un paese democratico, il fatto di realizzare che tra un mese potrei non vedere più il cielo, che non potrò passeggiare liberamente, sentire la sensazione del vento sulla faccia, l’odore del mare, e che non potrò più vivere Viola mi fa mancare l’aria. La notizia della data dell’udienza è arrivata proprio in un periodo in cui ogni notte stavo sognando il carcere, vivendo una sensazione così brutta, asfissiante, che solo poche altre volte ho vissuto nella mia vita.“
Non so cosa potrà essere, ma in questi anni mi sono meravigliato più volte di quello che noi esseri umani possiamo fare, più volte mi è capitato, spesso con l’aiuto di altre persone, di scoprire la luce in momenti di buio totale, dove sentivo la luce come qualcosa di impossibile. Quindi, cercherò di resistere. Dice con un senso di disincanto il giovane Federico Ciontoli.
Federico si sta preparando moralmente e con grande maturità, a pagare il suo conto con la Giustizia e ad uscire (eventualmente) da lì con una vita nuova in mano, da riscrivere. “Non so cosa pensare, il mio corpo e la mia mente si stanno preparando ad affrontare una cosa tanto dura quanto dolorosa. Se dovesse finire nella peggiore delle ipotesi, non lo accetterei in cuor mio perché so che non sarebbe una giusta sentenza in nome della verità. E la verità continuerà a “perseguitarmi” anche in carcere. Non potrò smettere di ripetere come stanno le cose nemmeno da lì. Io ho fatto quel che potevo in questi anni, essendo presente ogni volta che potevo parlare in aula e anche rilasciando due dichiarazioni spontanee, nonostante emotivamente fosse una cosa fortissima, e nonostante dovessi scontrarmi con le persone che mi volevano sciolto nell’acido o dato in pasto ai maiali. Se le cose dovessero andar male, sarebbe davvero doloroso ma io la mia verità la avrò sempre e la custodirò con cura. Ho sempre cercato di prepararmi a questa evenienza, in particolare da quando ho visto che il processo prendeva una piaga inaspettata e lontana dalla verità, ma solo ora sto iniziando davvero a fare i conti la sofferenza che comporterà. In particolare, allontanarmi da Viola sarà difficilissimo, allontanarmi dalla mia vita, che seppur triste e appesa sempre ad un filo, è la mia vita. So anche però, che Viola resterà e io resterò per lei, perché certi legami sono molto più forti di qualsiasi altra cosa!”
Martina Cecco