Lunedì 25 gennaio, in occasione del 114esimo evento di Lodi Liberale è stato presentato il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri “I MILITARI ITALIANI NEI LAGER NAZISTI. Una resistenza senz’armi (1943-1945)“, pubblicato da Le edizioni del Mulino, insieme al primo coautore (Storico e Saggista), Maria Teresa Giusti (Professore di Storia Contemporanea presso l’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara) e Pietro Di Muccio (Direttore Emerito del Senato della Repubblica).
“Il libro che l’associazione ha presentato è importante ricorrendo il 27 gennaio il Giorno della Memoria, istituito per legge nella data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz. Per questo era doverosa una riflessione su una pagina della storia non nota, non valorizzata e non così compresa: quella degli internati militari nei lager nazisti. Il libro è molto importante per vari aspetti. Tra gli internati anche Giovannino Guareschi che figura in copertina.” Ha detto Lorenzo Maggi presidente di Lodi Liberale.
Altri libri sul tema: Nei tunnel delle V2. Memorie di un deportato a Dora di D’Angelo Mario, Ugo Mursia Editore collana Testimonianze fra cronaca e storia, 2008.
“Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente…sono un combattente senz’armi, e senz’armi combatto…Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano” Cit. Guareschi.
L’Internato militare italiano – Radio Baracca, Diario di Giovannino Guareschi
Il 27 gennaio è il giorno in cui, alla fine della seconda Guerra mondiale, i cancelli di Auschwitz vengono abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico.
“Internamento, maledetto inferno … Italia, mia Italia“ Cit. Giovannino Guareschi
COMBATTERE, LAVORARE O FARSI PRIGIONIERI?
La maggior parte degli italiani scelse di rifiutare di aderire alla proposta tedesca. Una scelta che ha reso onore all’Italia. La storia non si concluderà per tutti con un lieto fine, per chi non e per chi è tornato…
“Il libro corposo e ricco di documentazione di Avagliano e Palmieri aiuta a completare il quadro relativo agli internati militari italiani e prende spunto da un volume del 2009, un’antologia pubblicata per Einaudi, sempre di Palmieri; che conferma il ritorno di questo argomento nella memorialistica italiana; negli anni ’80 c’è stato un crescendo di pubblicazioni su questo tema, la Resistenza ad oltranza degli internati italiani. E solo negli anni 2000 si ha un fiorire di questo tipo di letteratura, grazie ai dati forniti dalla Germania: tuttavia uno dei problemi principali per l’editoria storica italiana è comunque la mancanza dei dati, parliamo di un oblio generale, causato dalla perdita e dal deterioramento o dalla distruzione dei materiali nonché dall’indifferenza istituzionale, insieme alla connivente responsabilità della storiografia – spiega la Prof.ssa Maria Teresa Giusti – fino ad oggi, ad esempio, non abbiamo alcuno studio sulla prigionia dei soldati italiani in mano francese.”
“Questo libro proviene da un insieme di archivi molto interessanti: in argomento relativamente all’IMI e della II Guerra mondiale, trattandosi di una guerra di aggressione persa, si è cercato “istituzionalmente” di non ricordare. Lo studio è stato molto discontinuo e in questo generale oblio sono mancati nella memoria collettiva i riferimenti a prigionie ed internamenti. In questo libro si tratta dei prigionieri italiani, che erano una via di mezzo tra i prigionieri di guerra ed i prigionieri politici, ulteriore motivo per cui è stato più difficile ricostruire le loro vicende.”
Hitler in concomitanza con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, li definisce Internati Militari Italiani in modo da togliere loro i diritti di guerra, ma al contempo per far presumere a Benito Mussolini che rientrassero in una speciale categoria protetta di prigionieri, visto che la RSI era alleata al Fuhrer.
“197 mila soldati italiani riuscirono a scappare. Circa il 23% del totale ha aderito all’opzione loro proposta subito dopo l’armistizio, collaborando di seguito con la Germania. Definiti in termini come gli optanti. Fascisti convinti coerenti con la loro ideologia. Il loro disarmo in questo caso fu semplice. La situazione balcanica fu molto più complessa. In Grecia, in Albania, in Montenegro i combattenti aderirono per la maggior parte. Soli ed attanagliati nella morsa non avrebbero potuto superare il disarmo.” Ha detto.
“La Wermacht quindi proponeva di essere prigioniero di guerra oppure collaborare lavorando con i tedeschi. La maggior parte degli italiani rifiutò pressoché in modo scontato. Uno dei motivi per cui rifiutarono era la questione del giuramento: non era chiaro per chi avrebbero quindi dovuto giurare, visto e considerato che – in precedenza – avevano già prestato giuramento per il Re. La cifra di collaborazionisti si ingrossa dopo, nella primavera del 1944!”
La discussione in atto era chiara: per chi avrebbero dovuto quindi giurare, per Benito Mussolini, per Adolf Hitler? Il precedente giuramento era già stato fatto al Re, appunto. Le diverse interviste che la Prof.ssa Giusti ha fatto ai reduci sono simili tra loro, si tratta di una vita di costrizioni, che ha portato non solo ideologie, ma anche la fame e tutte le difficoltà, tra cui anche le false promesse che non furono mantenute dai tedeschi.
Il riscatto
“Una delle punizioni esemplari fu quella di mettere i non optanti vicini ai collaborazionisti, per mettere in evidenza che per via della convenienza nel trattamento era meglio cedere: i più non hanno comunque aderito e degli 810 mila uomini solo una piccola parte ha deciso per il Non Riscatto dell’Italia.”
“Questa situazione è seconda solamente alla prigionia in Unione Sovietica: i primi pensieri nel campo andavano alla sopravvivenza, a non morire di fame, mentre il pensiero spirituale e della famiglia veniva relegato in un angoletto del cuore, perché faceva male; solo in seguito gli internati riuscivano a pensare a questi altri aspetti come ad affetti, sesso, cose della vita. Gli internati più vicini al confine sovietico furono vittime di doppia prigionia, i morti furono 12.300 circa. La prigionia degli italiani in Unione Sovietica, a fronte dei 140 mila italiani liberati altrove da Stalin, serviva per di più come merce di scambio. Si parla in totale di circa 20 mila persone da scambiare e barattare con i prigionieri stalinisti in Europa.”
“Noi attendiamo come ancor più prezioso e necessario il vostro aiuto morale … conosciamo la falsità di tante promesse, Morgen, dicono e Morgen significa mai! … Noi abbiamo già l’ammirazione dei tedeschi e credo che, un giorno, avremo anche quella degli italiani!” Cit. dal libro.
La Giornata della memoria oggi
“Tra le pagine della storia dell’Italia è importante parlare degli IMI: significa parlare di un tema ignorato ingiustamente per troppo tempo, poiché furono la terza gamba della resistenza, militare, ex monarchici che fecero questa scelta anche in quanto avevano fatto giuramento al Re. Molti giurarono nei campi per potersi attaccare a un appiglio militare e politico per dire no al nazismo.” Ha spiegato il Prof. Mario Avagliano.
“Redazioni di biglietti, volantini, quotidiani dell’epoca, verbali delle commissioni interrogatrici in Italia nei distretti militari (relativi all’8 settembre) sono alcune delle fonti utilizzate. Insieme a questo i giornali in cui si parla delle decisioni badogliane e altre stampe”.
Il comando degli italiani che erano sul campo era mal gestito, non era chiaro cosa avrebbero dovuto fare. Alla resa erano allo sbaraglio, al punto che in questo libro si parla pure delle donne che hanno aiutato i militari italiani a scappare e nascondersi dai tedeschi, quando facevano le retate. Rischiavano la fucilazione.
Era evidente in Germania la distinzione tra soldati, sottufficiali e ufficiali. Gli ufficiali venivano trattati in modo differente. Gli altri furono impiegati come lavoratori coatti, in fabbriche, miniere e i fortunati nei campi agricoli. Almeno mangiavano.
“Mentre Mussolini costituisce la Repubblica Sociale Italiana ai soldati italiani si propone di diventare SS o lavorare per le SS, in seguito agli italiani verranno fatte anche le proposte per aderire alla RSI: nel periodo del campo i diari erano vietati, conseguentemente essi furono nascosti o distrutti nel corso della prigionia. Le lettere, invece, in qualche modo riescono a far filtrare delle informazioni: parlano del freddo, parlano della mancanza di pane, per cui è chiaro che sono in condizioni disperate. Nei campi i settentrionali ricevevano i pacchi, coloro che erano del sud invece non potevano nemmeno ricevere la corrispondenza. Salò nel frattempo cercava di far aderire gli IMI per poter rientrare in patria o poter avere qualche miglioria. Per far notare la differenza di vita mettono vicino ai non optanti gli optanti, a motivo di umiliazione e propaganda.” Spiega Avagliano.
Una generazione di italiani cresciuta per credere, obbedire e combattere.
“Anche il periodo di prigionia diventava così un momento in cui cresceva la consapevolezza politica degli internati, come ha scritto Alessandro Natta”.
“Come dice Guareschi essi furono i soli volontari dei lager, che ebbero la possibilità di tornare a casa, ma non lo fecero, fu oltremodo coraggioso che loro non aderissero e che restassero nei campi perché, dei 650 mila che restarono, una percentuale elevata morì; oltre 50 mila morirono per tortura, fame , inedia, lavoro, condizioni pessime e bombardamenti. Combatterono per la loro coscienza, il loro onore e la loro dignità di uomini.” Ha spiegato Avagliano. “Le foto che sono arrivate fino a noi sono state fatte rimontando cimeli di vecchie macchine fotografiche. Nelle tavole ci sono anche i disegni che gli IMI hanno fatto, una resistenza culturale e anche religiosa. Per di più testimoniarono con le radio, come radio Caterina, l’esperienza.”
Cosa furono gli anni 1945-47: rimpatriarono dai lager nazisti, sovietici e titini in 600.000, lasciandosi alle spalle più di 120.000 caduti. 30.000 della prima resistenza e poi, nei lager d’Europa o per postumi al rimpatrio, 50.000 internati (IMI , ex IMI civilizzati, ex IMI deportati) e 40.000 deportati civili (ex partigiani, politici, razziali, asociali). Non si sentivano eroi, perché gli eroi sono eccezioni erano massa, ma erano fieri della loro scelta e di non avere rivolto le armi sugli italiani! Furono accolti in patria con diffidenza, preoccupazione e indifferenza, riporta sul suo sito Claudio Sommaruga.
I militari scrissero con la vernice bianca sui vagoni del treno del loro rimpatrio frasi di gioia e di sentimento. Le scritte sono riportate nell’ultimo capitolo del libro.
“Nessuno è disposto a considerare la mia storia, io sono tornato umiliato e sconfitto, sono tornato ma mi sento depresso, non ho lavoro, non ho soldi, non sento intorno a me nessuna solidarietà” la riflessione di Valerio Andreatta è emblematica, un IMI che parla del suo ritorno e della sua estraneità in patria, dove tutti sono divenuti i salvatori della patria, tranne coloro che avevano combattuto la guerra.
Molti IMI sono i padri di personaggi che sono attualmente famosi e che sono stati protagonisti del panorama culturale e politico italiano del ‘900.
“Non muoverò neanche un dito per i tedeschi”. Cit. dal Libro
“Sugli IMI il silenzio ha radice ovviamente nella resistenza. La resistenza lentamente con il passare degli anni è stata chiarita dalla storia, ma è diventata anche un’ideologia che, in quanto tale, è stata fortemente divisiva.” A raccontare il suo ricordo è Pietro di Muccio, il padre fu un Italiano Militare Internato.
“Quanto gli IMI sono stati, seppure in modo diverso, non è da indagare – dice – non c’è molto da indagare sul perché lo fecero, ma lo fecero.”
“I fatti sono che queste persone rifiutarono di tornare a servire il Regime fascista. Il diario di mio padre è un quadernetto nero, semplice, uno di quando si andava a scuola, ha in calce il timbro con scritto accettato e riporta come intestazione Appunti di medicina, chirurgia e terapie.” “Ma invece queste sono le confidenze che mio padre fece a mia madre. Mio padre non ha mai parlato della sua vicenda, che pure è durata quasi due anni. Era un ufficiale medico e di una famiglia benestante.”
“Sono poche le volte che ha accennato qualcosa che posso ricordare, come figlio. Il premio che veniva promesso per tornare a Salò consisteva in 250 grammi di pane bianco e wurstel. Adesso ci fa ridere, ma per un internato il pane bianco non c’era. Mio padre mi rimproverava sempre quando toglievo il grasso dalla bistecca. Tu non sai quanto il grasso è importante. Raccontava che il suo compagno di cella, medico napoletano, dormiva in un letto a castello sopra lui e diceva che prima di tutto doveva stare fermo per non consumarsi, sapeva che sarebbe morto perché era magro. Morì dopo 3 mesi” ha raccontato Pietro Di Muccio.
A cura di Martina Cecco
Nell’occasione vorrei segnalare un libro che posseggo: Ugo Dragoni ” La scelta degli I.M.I. Militari italiani prigionieri in Germania. Casa editrice Le Lettere. 1997 pp.460
Nell’occasione vorrei segnalare un libro che posseggo: di Ugo Dragoni ” La scelta degli I.M.I. Militari italiani prigionieri in Germania. Casa editrice Le Lettere. 1997 pp.460