L'”onda” di proteste sulla scuola non convince, tanto quanto la “riforma”

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di Luca Bolognini*

Sale la protesta di genitori, studenti e giovani ricercatori italiani contro il Decreto Gelmini-Tremonti (così “bi-definito” ironicamente ma non troppo). AnnoZero dedica un’intera puntata al tema, i giornali danno ampio spazio alle proteste, sembra che l’Italia tutta sia scesa in piazza contro il Governo Berlusconi e i suoi Ministri. Certo la riforma, così com’è, non convince, non è organica, non è veramente innovativa; però qualcosa stride e non torna anche nell’atteggiamento dei manifestanti, c’è un insieme di dettagli che ci deve far riflettere.

Andiamo con ordine. Il decreto che reintroduce il maestro unico (o prevalente) nella scuola elementare ha un difetto fondamentale: non ristruttura il sistema della pubblica istruzione, non è dotato della visione necessaria per risolvere alla radice le gravi problematiche che l’affliggono ormai da decenni. E’ un provvedimento che si limita ad intervenire su pochi punti critici, badando più all’abbattimento delle spese che alla sostanza delle modifiche formative. Detto questo, nella novella politica di Gelmini ci sono elementi apparentemente superflui che invece, a mio parere, assumono significati di peso e vanno apprezzati: la condotta, il ritorno all’educazione civile e costituzionale, il favore per gli specializzandi Ssis, l’attenzione alla sicurezza degli edifici scolastici.

Sul tema del maestro unico si apre poi un capitolo di considerazioni, che riassumerò in tre domande telegrafiche: un solo maestro è pedagogicamente meglio o peggio di tre per la prima impronta formativa (mi riferisco ai punti di riferimento morali-relazionali per il bambino)? Secondo, anche se tre docenti fossero indiscutibilmente meglio per l’educazione infantile, il versante economico consentirebbe di continuare su questa strada o si tratta di un lusso insostenibile? Terzo, perché in Europa siamo quasi gli unici a porci il dilemma dei tre maestri alle elementari?

Ognuno ha le sue risposte, io penso francamente che non sarà un dramma, per la scuola elementare italiana, tornare al maestro unico. Credo invece, questo sì, che si apriranno scenari drammatici per quanti – maestri, personale tecnico, assistenti – perderanno lo stipendio a partire dal prossimo anno con l’attuazione della “riforma”: ci troveremo innanzi a gravi sbilanciamenti sociali, e il Governo non può far finta di non pre-vedere tali gravi rischi e non ragionare, quindi, su soluzioni di ammortizzazione. Credo d’altro canto che i tagli siano necessari per le condizioni delle casse pubbliche e che non si possa trasformare la scuola in un ente di assistenza economica; ma credo pure che – al di là delle condivisibili impostazioni di principio del Ministro Brunetta, il quale non ha i poteri concreti di Tremonti – serva usare il “decespugliatore” anche e soprattutto in altri ambiti e settori della pubblica amministrazione: l’istruzione va ottimizzata, però assistiamo a sprechi e inefficienze di ben altra portata da sanare quanto prima (La Deriva docet).

Credo che una riforma seria del sistema scolastico e universitario italiano debba prendere di petto le sfide poste dalla globalizzazione: questo significa abbandonare le pessime idee di separazione tra classi di immigrati e di italiani – come di recente proposto in Parlamento – che avrebbero l’unica conseguenza di imprimere il senso di esclusione e di diversità in bambini già non fortunati, ma anche smetterla di non porsi il problema in nome di una cieca, acritica velleità di integrazione spesso, purtroppo, auspicata da certa sinistra benpensante e benestante. Significa premiare il merito, controllare l’efficienza, da un lato, e dall’altro gratificare gli sforzi sia dei docenti (che da decenni, nel nostro Paese, ricevono una paga ridicola, una vergogna umiliante se confrontata con le medie retributive dei cugini UE), sia naturalmente dei giovani ricercatori (a loro volta sottopagati cronici e precari). Significa combattere la gerontocrazia e i baronati. Significa introdurre principi di competitività tra scuole e tra università, in modo tale che le migliori vincano sul mercato della formazione. Significa accettare proprio il concetto di mercato, che non può essere un tabù alle porte del 2009: abolire il valore legale del titolo di studio, prima di tutto, quindi intensificare le relazioni tra scuole/università e imprese. Significa, infine, fare in modo che l’accesso al mondo del lavoro, uscendo dall’università, diventi più rapido e meno limitato da inutili burocrazie: tutta Europa ci chiede di migliorare su questo tema, Catricalà lo ripete ad ogni pie’ sospinto, e tuttavia mi pare che il Governo, con il Ministro Alfano, stia per esempio, all’opposto, ragionando su un allungamento dei tempi di accesso alle professioni, su una chiusura ulteriore ed anacronistica del mercato dei servizi intellettuali, d’amore e d’accordo con gli Ordini. Che senso ha? Viene in mente la canzone di Battisti-Mogol, “come può uno scoglio arginare il mare”?

I problemi italiani sono enormi. E qui arrivo, per concludere, ai dubbi sull’agguerrita (ma, rassicurano, pacifica – malgrado volino parole grosse negli slogan e si occupino spazi pubblici come a Torino) “Onda” di giovani che in questi giorni sta allagando l’Italia di proteste. Per chiarezza di posizioni, premetto che io non ho mai occupato né autogestito un bel niente e siccome non lo facevo – ai tempi della pantera degli anni ’90 – mi sono più volte scontrato con chi propugnava idee antitetiche alle mie (e, da repubblicano quale sono, mi sentii dare addirittura del fascista perché volevo poter accedere alle lezioni). Bene, ci sono elementi che stridono, dicevo all’inizio. Faccio domande, a voi le risposte. Cari manifestanti, comparsi all’improvviso, dove siete stati in questi anni, quando, da tutti gli schieramenti politici giovanili e in particolare da parte di Coalizione Generazionale, arrivavano forti analisi e richiami sullo stato disastroso dei conti pubblici italiani e sugli effetti che questo avrebbe avuto – e avrà – nel nostro futuro, sul problema del mancato ricambio generazionale, sul dramma della precarizzazione, sull’urgenza di maggiore democrazia nei partiti e nei sistemi elettorali, sulla voragine del sistema pensionistico? Dove eravate? Perché sottolineate con fierezza di “non essere politici”, non vi accorgete che è proprio l’incapacità politica a causare la perdita di controllo, da parte dei più giovani, sulle riforme che cambiano la nostra vita? Perché poi, quando c’è un governo di centro-destra in Italia, si grida alla revolucion, pur essendo quei gravi problemi – nello specifico scolastico – gli stessi da più di vent’anni e con maggioranze di colori diversi? Perché condannate a priori anche quella che sarà la riforma universitaria, visto che non è ancora stata presentata, invece di premere per far passare le vostre richieste e proposte? Perché nei vostri slogan banalizzate i salvataggi finanziari ad opera degli Stati (non della sola Italia), in questo momento di crisi nera, e non vi ponete il problema di quali conseguenze avrebbe un crollo generalizzato del sistema bancario per tutti i cittadini? Per natura, spero in risposte critiche ma ragionevoli, costruttive, e vi confermo la mia e la nostra disponibilità – in modi civili e pacati – a reinventare insieme con voi la società italiana in prospettiva europea: impegniamoci, ma facciamolo senza pregiudizi, senza logiche di scontro preconfezionate.

Chiudo con un appello, tornando per un attimo al mio mestiere di esperto privacy, questa volta rivolgendomi ai genitori che sono scesi in piazza e davanti alle telecamere a protestare: per favore, non mettete i vostri figli piccoli in queste situazioni, non le possono capire a sei anni, non sono voi e hanno il diritto alla protezione della loro buona ingenuità.

portavoce di Coalizione Generazionale Under-35
presidente Società Aperta Giovani
www.coalizionegenerazionale.it

Articolo pubblicato su Affari Italiani il 27 ottobre 2008

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