Se è un fake, come dice l’Aise, la miglior smentita è diffondere la foto originale
Chi materialmente ha prelevato Silvia Romano dai jihadisti che la tenevano in ostaggio o dai loro intermediari? Non è un dettaglio irrilevante, tanto che nelle ultime ore è stato oggetto di un contraddittorio a distanza tra intelligence turca e italiana.
I buoni rapporti, come riporta La Stampa, tra il direttore dell’Aise Luciano Carta e il capo del Mit Hakan Fidan, ritenuto tra l’altro molto vicino a Teheran, hanno consentito di instaurare una preziosa collaborazione che ha portato alla felice conclusione del sequestro della 25enne italiana, ma nelle ore successive alla notizia del suo ritorno è emersa qualche crepa tra le due intelligence.
In Italia, si è parlato di operazione dell’Aise “in collaborazione con i colleghi somali e turchi”. Troppo poco, forse, per Ankara, che avendo visto il suo ruolo nell’operazione declassato a “collaborazione” e “aiuto”, equiparato a quello dei “colleghi somali”, ha voluto apporre il proprio marchio sulla “liberazione” dell’ostaggio: o per precisare come sono andate realmente le cose nelle ultime ore del sequestro, o invece per rivendicare meriti che non le spettano, ma che fanno gioco alla propaganda islamista e nazionalista del presidente Erdogan.
Ecco quindi che nella serata di domenica, come già riportato lunedì mattina su Atlantico Quotidiano, comincia a fare il giro dei media turchi una foto di Silvia Romano subito dopo la sua consegna, in Somalia, sorridente sul sedile posteriore di un pick-up, con indosso un giubbotto antiproiettile. Sul giubbotto, una mostrina con la mezzaluna e la stella della bandiera turca e una scritta nell’antico alfabeto turco dell’Orhon, usato dai primi Canati tra VIII e X secolo d.C. Una foto evidentemente passata ai media turchi dal Mit, che rendeva noto anche di avere iniziato ad occuparsi del caso su richiesta di Roma dal dicembre 2019.
La foto – rilanciata sui social italiani già domenica sera dal corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia Mariano Giustino, come ha precisato il nostro direttore – è stata pubblicata dall’agenzia di stampa statale turca Anadolu, quindi si può considerare un documento ufficiale di Ankara.
Una vera e propria firma sull’ultima, decisiva ora dell’operazione, quella del prelevamento dell’ostaggio, a indicare, dunque, qualcosa di più di un semplice “aiuto”, di una “collaborazione” tra intelligence alleate – sarebbero stati proprio i turchi a prelevarla e poi consegnarla alle autorità italiane – e ad alzare il credito politico da incassare, prima o poi, dal governo italiano.
Evidente anche l’implicazione geopolitica: un ruolo da protagonista dei servizi turchi, a tal punto da richiedere un loro intervento anche in termini di azione per il recupero di un ostaggio italiano in Somalia, rafforza la percezione dell’influenza di Ankara nel Corno d’Africa, che si somma al suo attivismo in Libia e nel Mediterraneo orientale, mentre conferma, al contrario, la declinante posizione italiana in quelle aree.
Ma lunedì nel tardo pomeriggio, arriva alle agenzie di stampa la versione dell’Aise. Fonti dell’intelligence italiana fanno sapere che il giubbotto antiproiettile indossato da Silvia Romano nella foto è “una dotazione rigorosamente italiana, senza alcun simbolo”, e le è stato fornito “nell’immediatezza” della consegna agli 007 italiani che l’hanno recuperata. “Non è quindi da escludersi che quella foto sia un fake”, aggiungono le stesse fonti. E ancora: gli uomini che l’hanno recuperata sono “gli stessi” che dal novembre 2018 seguono il sequestro. Già 48 ore dopo il rapimento “sono stati inviati in territorio keniota dove, in collaborazione con le forze locali, hanno iniziato le operazioni di ricerca anche con l’ausilio di sofisticati droni”. E sempre gli stessi 007, una volta accertato che la volontaria era stata portata in Somalia, “si sono trasferiti stabilmente in quel Paese, senza mai interrompere le attività di ricerca, fino all’operazione dell’altra notte” (tra venerdì e sabato) quando, “in silenzio e con professionalità”, l’hanno recuperata.
Insomma, nostro il giubbotto, nostra l’operazione di recupero. Ma se nostro è il giubbotto (“rigorosamente”), fornito alla ragazza “nell’immediatezza” del recupero, perché limitarsi a dire “non è da escludere” che la foto sia un fake? Non dovrebbe essere una certezza?
La smentita più semplice non sarebbe stata diffondere, attraverso la stampa, la foto originale?
Restano dunque le due versioni, quella del Mit documentata da una foto, che i media turchi confermano essere autentica e che l’Aise invece “non esclude” sia un fake, cioè ritoccata per apporvi i simboli turchi, ma non sembra esserne così certa.
E se fosse come dice l’Aise – Silvia l’hanno ripresa i nostri, nostro è il giubbotto – quando e da chi è stata scattata quella foto e, soprattutto, come è finita in mani turche per poi essere “ritoccata” e usata contro di noi?
Di Publius Valerius mutuato da ATLANTICO QUOTIDIANO QUI