Se la pandemia accelera il cambio di pelle dei Tories verso la working class

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Lo scoppio della pandemia legata alla diffusione del coronavirus sta determinando una svolta nella politica britannica. Il governo conservatore – eletto a furor di popolo con lo slogan Get Brexit Done! – si trova a fare i conti con una emergenza ben più grave rispetto al suo focus su un’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione europea. La trasformazione del partito Tory sotto Boris Johnson da eurorealista a brexiteer e da thatcheriano a, in parte, neo-welfariano, si stava già compiendo con i primi atti del governo, come l’aumento del salario minimo, la fine dell’austerity, e l’aumento degli investimenti nell’NHS e nelle infrastrutture a esso collegate (ma non solo).

È chiaro che il successo del governo di Boris Johnson sarà determinato da come governerà l’emergenza coronavirus e da quella, quasi contemporanea, legata alla crisi economica. Finora, secondo un recente sondaggio di YouGov, due terzi dei britannici sembrano approvare le misure di lockdown prese dal primo ministro, e l’immissione di liquidità promessa dal Cancelliere Sunak per limitare i danni all’economia. Entrambe le azioni affermano la volontà del governo di emergere vincente dalla crisi. Tuttavia, è ancora presto per dire come finirà: la curva dei contagi rimane preoccupante e alcuni scienziati prevedono addirittura “fino a 40 mila vittime”.

Quello che sta evidenziando l’emergenza è un nuovo rapporto del Partito Conservatore con il Servizio Sanitario Nazionale, l’NHS. Un tempo, durante gli anni delle privatizzazioni thatcheriane, l’ex Cancelliere dello Scacchiere Nigel Lawson definì l’NHS a national religion e, come tale, intoccabile anche dalla rivoluzione della Lady di Ferro. Furono i successori di Thatcher, Major e soprattutto i Laburisti Blair e Brown a spronare i privati a investire nel settore, grazie anche ai piani di partenariato pubblico-privato (Private Financial Initiative), che garantivano l’immissione di nuove risorse nel sistema. I Tories sono sempre stati percepiti come il “partito dei tagli” nel sistema pubblico, a differenza di un Labour più votato alla spesa. Lo stesso David Cameron una volta diventato leader conservatore parlò nel 2006 delle sue 3 priorità per il futuro del Paese definendole nelle lettere “N-H-S” proprio per indirizzare un problema elettorale che stava penalizzando il partito. Un problema di cui si è reso conto anche il consigliere-capo di Johnson, Dominic Cummings, che, dopo il disastro di May alle elezioni del 2017, in parte dovuto anche a un programma molto confuso sulle cure per i malati cronici, ha identificato nell’NHS il pilastro della battaglia elettorale e comunicativa attraverso cui i Tories hanno fatto breccia nel Red Wall laburista.

Attraverso la negativa esperienza legata alla contrazione del coronavirus, Boris Johnson – da più parti percepito come un tipico prodotto dell’establishment elitario e cosmopolita – ha potuto esperire in via diretta la qualità e l’abnegazione del personale dell’NHS. Il bond che lega il primo ministro alla sanità è forte come non lo è mai stato in passato, forse nemmeno ai tempi di Nye Bevan, l’architetto del servizio sanitario britannico. Johnson sa che deve la vita a chi gli è stato accanto nei giorni peggiori della malattia e si rende conto che medici e infermieri compiono uno sforzo straordinario per curare le persone e salvare vite umane.

Sforzi che spesso non sono commisurati alle condizioni economiche con cui sono trattati. Già, perché la crisi del Covid-19 sta anche mettendo in luce nella compagine governativa una nuova priorità relativamente a quelli che sono i lavori più utili – direi fondamentali – per far sì che lo stato performi al massimo la sua attività: ecco perché i Red Tories all’interno del 1922 Committee – il gruppo parlamentare conservatore – hanno esultato per l’aumento del salario minimo a oltre 8 sterline l’ora, e c’è da scommettere che premeranno perché in sede di contrattazione collettiva i key workers dello stato britannico vengano gratificati con salari più alti e condizioni di lavoro più rispettabili.

In passato sulla rivista liberal Prospect, un intellettuale conservatore, Tim Montgomery, aveva parlato di rinominare i Tories The Working Class Party: una provocazione, certamente, per un partito che ha radici completamente diverse. Ma il risultato delle elezioni e le nuove constituencies ex Labour da difendere a Blyth Valley, Workington e Bolsover spostano l’asse del governo: meno Londra e più periferia. E chissà se tra qualche anno laddove c’era un Muro Rosso non si parlerà di Blue Wall.

Di Daniele Meloni in ATLANTICO QUOTIDIANO QUI

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