Brexit si è trasformata in una caccia alla volpe, ma Johnson può ancora trovare il modo di non finire intrappolato

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La trappola è stata posizionata, ora si tratta da capire se la preda ci finirà dentro o saprà cavarsela. È programmata per la prossima settimana la sospensione del Parlamento britannico voluta da Boris Johnson – la preda in questa particolare caccia alla volpe – e che tante polemiche aveva sollevato nell’ultima parte di agosto: un colpo di mano, secondo l’opposizione e i critici, per portare forzatamente il Regno Unito ad un’uscita dall’Unione europea il 31 ottobre con o senza accordo. Ed è stata soprattutto questa seconda ipotesi a scatenare una tempesta perfetta nella settimana appena conclusa, con i colpi di scena che si sono susseguiti a Westminster: l’abbandono del deputato Phillip Lee che durante il question time del mercoledì va ad accomodarsi tra i liberaldemocratici, facendo venire meno la già risicata maggioranza conservatrice; i voti dei ribelli che hanno sostenuto la proposta di legge del laburista Hilary Benn per prorogare Brexit di ulteriori di tre mesi in caso di no deal, a costo della sospensione dal partito; il conflitto personale di Jo Johnson, diviso tra i doveri famigliari e gli obblighi ministeriali; la richiesta del primo ministro di indire nuove elezioni a metà ottobre che non ha trovato il sostegno necessario della House of Commons, perché i Laburisti di Jeremy Corbyn vorrebbero anche andare alle urne, ma a novembre, come garanzia che il Regno rimanga nell’Ue almeno fino a gennaio. Gli ultimi scampoli d’estate d’Oltremanica si sono politicamente dissipati in un batter d’occhio.

Le ripercussioni e i risvolti possibili sono numerosi, dipende da come reagirà la volpe. Johnson ha ribadito che vuole completare il travagliato percorso di Brexit prima di novembre durante quelli che appaiono come i primi colpi di una campagna elettorale che lo hanno portato nello Yorkshire e in Scozia: non teme la scommessa sempre imprevedibile delle snap elections (Theresa May ne sa qualcosa), è convinto – e i sondaggi gli danno ragione – che se si votasse adesso i Conservatori si assicurerebbero quella maggioranza che non hanno e sarebbe composta da truppe scelte dell’anime Leave del partito, allontanando lo spettro di un’alleanza obbligata con Nigel Farage. Le intenzioni ci sono, ma non bastano. A questo punto potrebbe optare per una scommessa ancora più azzardata, quella di dimettersi per portare allo scoperto Corbyn che si ritroverebbe proiettato a Downing Street il tempo necessario per espletare alcuni obblighi formali: partecipare al summit europeo del 17 ottobre e rimandare nuovamente il divorzio con Bruxelles e poi chiudere definitivamente la legislatura. Ma l’occasione potrebbe ingolosire il leader laburista, aprendo ad un accordo con lo Scottish National Party per provare a reggere al governo, concedendo agli alleati un secondo referendum sull’indipendenza di Edimburgo.

Oppure potrebbe sfidare la decisione di Westminster, sottraendosi all’obbligo di chiedere una terza estensione all’Ue, rischiando una messa in stato di accusa dal Parlamento. Un provvedimento ormai desueto a Londra, ma in una saga come Brexit che ha riportato alla luce misure che si credeva appartenessero al passato (tra cui proprio la sospensione voluta da Johnson), ogni mezzo si rivela valido. Fantapolitica? D’altronde lo era anche l’ipotesi che uno stato votasse per uscire dall’Unione. Da questa, paradossalmente, potrebbe giungere un aiuto insperato a Johnson. L’ultima proroga alla separazione era stata ottenuta sotto la particolare condizione voluta dal presidente francese Emmanuel Macron che il Regno Unito sarebbe rimasto nel club il tempo necessario per andarsene, evitando di interferire con la politica della nuova commissione: di fronte al rischio di ritrovarsi un bastone di troppo tra le ruote, l’Ue rigetterebbe un’altra richiesta londinese riportando la trama al punto di partenza, il fatidico 31 ottobre. Certo, a Downing Street la carta spendibile di una Hard Brexit sul tavolo a quel punto risulterebbe molto comoda nelle serrate trattative finali per ottenere una modifica del Withdrawal Agreement contrattato dalla May, specie attorno alla questione del backstop tra Repubblica irlandese e Nord Irlanda, ma agli strenui Remainer che siedono ai Comuni l’idea proprio non piace. Rendendo così lo scenario no deal più concreto di quanto loro stessi desiderino.

Di Dario Mazzocchi in Atlantico Quotidiano QUI

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