Senza il socialismo è il mercato che governa i popoli

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ITALY - : The fourth state, 1901, by Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), oil on canvas, 293x545 cm, detail. Italy, 20th century. (Photo by DeAgostini/Getty Images)
Fu Bettino Craxi, il primo, in Europa, a denunciare il fenomeno della globalizzazione. E lo fece con queste parole:“Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare”.
Bettino Craxi, non a caso, usò il termine “imperialismo”. Quell’imperialismo che, qualche anno dopo, bombarderà la Jugoslavia e, successivamente, l’Iraq (con tanto di denunce – da Hammamet – dello stesso Craxi), la Libia e la Siria. Ovvero tutti Stati sovrani, non allineati e laico-socialisti.
Fu lo stesso Craxi a denunciare, da buon socialista, peraltro, il fenomeno padronale dell’emigrazione di massa, che di lì a poco sarebbe esploso – causa del globalismo capitalista – proponendo ad esso un argine. Craxi affermò infatti: “Nel Sud del Mediterraneo le popolazioni sono soggette a un tasso di incremento demografico che è ancora troppo alto. Sono iniziate correnti emigratorie e immigratorie che in assenza di un accelerato processo di sviluppo che abbracci tutta la riva Sud del Mediterraneo sono destinate a gonfiarsi in modo impressionante, e saranno delle tendenze inarrestabili e incontrollabili. Paesi con popolazioni giovanissime, le quali naturalmente vanno verso le luci, le luci della città, se noi non accenderemo un maggior numero di luci in quei Paesi. In realtà le grandi nazioni ricche del mondo non compiono lo sforzo che viene considerato necessario per ridurre queste distanze, le distanze sono assai grandi, sono abissali ed è questa ripeto la grande questione sociale del nostro secolo”.
Craxi fu amico di tutti i socialisti del Terzo Mondo e li sostenne sempre e in ogni modo: dall’America Latina sandinista sino al socialismo arabo.
Craxi, da buon socialista, si immaginava sicuramente un’Europa diversa. Sovrana, anti-globalista, indipendente da ogni imperialismo, un po’ come se la immaginarono Charles De Gaulle e Jean Thiriart.
Craxi fu defenestrato da quei poteri forti che non potevano accettare tale visione delle cose e da quella sinistra post-comunista che, rinnegando gli insegnamenti di Togliatti, sarebbe diventata la paladina del liberal capitalismo assoluto. Craxi, invece, fu bollato come un criminale e solo oggi – di fronte a una destra e a una sinistra capitaliste e padronali – la sua figura è da molti rivalutata. Craxi fu, in realtà, l’ultimo dei socialisti europei.
Un po’ come Palmiro Togliatti fu, forse, l’ultimo dei comunisti italiani. E vale la pena ricordare ciò che egli disse, a proposito dell’importanza della sovranità nazionale, in un’epoca di messa in vendita di ogni cosa e di ogni identità: “E’ ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. (…) I comunisti non possono staccarsi dalla loro nazione se non vogliono stroncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trust internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio”.
Ecco che Craxi e Togliatti, pur nella loro diversità ideologica, rappresentarono ad ogni modo una sintesi degli ideali della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, non ancora inquinata dalle dispute fra le sue correnti interne fra marxisti, socialisti, anarchici, mazziniani.
La Prima Internazionale fu, con l’esperienza della Comune di Parigi del 1871 (il cui simbolo fu il garofano rosso) e la Rivoluzione bolscevica del 1917, l’antitesi rispetto alla borghese e liberal-progressista Rivoluzione Francese del 1789, che tagliò la testa ai nobili, senza modificare alcun rapporto di classe, escludendo del tutto il Quarto Stato e instaurando un regime borghese, ove le diseguaglianze non saranno affatto sanate.
E’ merito del filosofo francese contemporaneo Jean-Claude Michéa, con il suo “I misteri della sinistra” ed altri successivi saggi, l’aver individuato la differenza abissale fra socialismo originario e sinistra. Il primo è il rappresentante del Quarto Stato, la seconda della borghesia. Il primo è comunitario e preferisce conservare i valori, fra cui quello della propria patria di origine, delle proprie tradizioni popolari, del posto di lavoro fisso e della monogamia; la seconda preferisce disgregarli, in nome del danaro e della “libertà” di produrre all’infinito, di consumare, di godere illimitatamente.
Il socialismo si rifà insegnamenti di Marx, Engels, Bakunin, Proudhon, Mazzini, Garibaldi, Pierre Leroux, i quali – come rileva Michéa – mai si definirono di sinistra, ma sempre si batterono contro l’oligarchia monarchico-aristocratica (la destra) e contro la borghesia capitalista (la sinistra).
Oggi, in Europa, è molto facile notare come il socialismo sia del tutto pressoché scomparso. Pressoché nessun partito maggioritario si rifà a quel tipo di ideali (in parte solo Jean-Luc Mélenchon in Francia e Jeremy Corbyn in Gran Bretagna).
In molti, anche quelli che a parole si dicono “socialisti” e fanno riferimento al cosiddetto Partito “Socialista” Europeo, sono stati i primi, dagli Anni ’90 in poi, ad aver abbracciato il capitalismo assoluto: promuovendo leggi di deregolamentazione del lavoro (Loi Travail, Jobs Act); promuovendo le liberalizzazioni; attuando privatizzazioni selvagge; appoggiando guerre di sedicente esportazione della sedicente “democrazia” (Jugoslavia e via discorrendo) e imponendo sanzioni a Paesi sovrani socialisti (vedi oggi il Venezuela).
Costoro, infatti, lungi dall’essere socialisti, appartengono alla sinistra. Borghese, liberal, progressista, ovvero al campo di quello che potrebbe essere definito il “liberal-capitalismo”.
In questo senso non si differenziano affatto da coloro ai quali vorrebbero contrapporsi, ovvero i “liberal-capitalisti” di destra: i vari Bolsonaro, Salvini, Putin o Macron (quest’ultimo una fusione fra liberal-capitalismo di sinistra e di destra). I programmi, in termini economico-sociali, sono infatti i medesimi e a tutto sostegno delle classi medio alte.
Questo, almeno, quanto accade in Europa e negli USA, ove nemmeno Bernie Sanders, che pur presenta un programma in discontinuità rispetto ai “liberal” del Partito Democratico USA, non può essere definito pienamente un socialista, ovvero un oppositore del sistema del capitale, del danaro e del profitto.
Solo in alcune realtà non allineate, come ad esempio la Cuba di Guevara e Castro, la Libia di Gheddafi, l’Egitto di Nasser, la Jugoslavia di Tito, l’Argentina di Peron, il Burina Faso di Sankara, il Sudafrica di Mandela e il Nicaragua sandinista di Ortega, abbiamo assistito all’avvento al potere del socialismo originario, con caratteristiche che univano aspetti autogestionari e di democrazia diretta anche in campo economico. Così come peraltro fu nella libertaria Reggenza del Carnaro di D’Annunzio e De Ambriis negli Anni ’20 e nell’Unione Sovietica di Lenin.
Negli ultimo decenni, solo in America Latina, da Hugo Chavez in poi, abbiamo assistito ad una rinascita di tali ideali. Chavez ha saputo recuperare gli ideali emancipatori di Bolivar e quelli di Garibaldi, fondendoli con il socialismo marxista, cristiano, libertario. E tale vento di emancipazione soffiò finanche in Brasile, con Lula, in Argentina, con i Kirchner, il Uruguay con Mujica e in Bolivia con Morales. Dottrine e realtà diverse, ma simili. Che hanno posto al centro l’essere umano e – pur nella diversità dettata dalle diverse realtà economiche, sociali, di cultura e tradizione – hanno saputo riprendere in mano ideali antichi, attualizzandoli, facendo rivivere il meglio del socialismo della Prima Internazionale.
Non diverso è il percorso compiuto dai movimenti panafricani in Africa. Grazie al socialismo arabo di Nasser e Gheddafi, che hanno tenuto a freno il fondamentalismo religioso e nazionalizzato le risorse, a beneficio della collettività; grazie alle lotte di emancipazione di Thomas Sankara; di Nelson Mandela e di molti altri politici e intellettuali di ispirazione socialista o marxista.
Non a caso tutti invisi dai Paesi colonialisti e neocolonialisti d’Europa e Nordamerica e, come tali, combattuti e spesso drammaticamente uccisi. Ma difesi dall’allora Unione Sovietica, sino a che ha resistito all’avvento del globalismo e che ha portato successivamente al potere gli oligarchi.
Da tempo, con Putin, gli oligarchi sono tenuti a freno, ma di certo la Russia moderna è pur sempre nelle mani del liberal-capitalismo, “grazie”, si fa per dire, alle privatizzazioni selvagge e all’innalzamento dell’età pensionabile volute da Putin, ma combattute da quello che – in Eurasia – rimane il più grande Partito Comunista, ovvero il KPFR di Zjuganov. Quello Zjuganov che, tentando di resistere all’avvento dell’oligarchia, ha costituito – negli Anni ’90 – un fronte nazionalpatriottico contro Eltsin, recuperando gli ideali nazionalbolscevichi di Niekisch, Mario Bergamo e Thiriart, così come hanno fatto il filosofo Aleksandr Dugin e lo scrittore Eduard Limonov, con il loro Partito NazionalBolscevico, aggregando i giovani sbandanti e post-punk delle periferie post-sovietiche.
Profeti del socialismo originario, in Occidente, furono Pier Paolo Pasolini, Michel Clouscard e Christopher Lasch. I primi due furono militanti comunisti, Lasch fu un intellettuale statunitense, di orientamento socialista conservatore.
Tutti costoro, ad ogni modo, denunciarono nel corso degli Anni ’70 – in particolare – l’avvento della società dei consumi. Quella società dei consumi che si sarebbe imposta dagli Anni ’90 in poi, che avrebbe imposto la globalizzazione denunciata dallo stesso Craxi. Quella società che ha ormai preso il posto di qualsiasi altro valore della nostra epoca. Che distrugge l’ambiente, che diffonde precarietà (lavorativa, sociale, sentimentale), che distrugge le culture e le identità (imponendo alle persone di emigrare, per trovare spesso un lavoro sottopagato o non pagato).
Quella società sdoganata dalla sinistra, che non è altro che l’altra faccia della destra.
Dove continueremo ad andare a finire, senza più il socialismo ?
Luca Bagatin

 

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Nato a Roma nel 1979, è blogger dal 2004 (www.amoreeliberta.blogspot.it). Dal 2000 collabora e ha collaborato con diverse riviste di cultura risorgimentale, esoterica e socialista, oltre che con numerose testate giornalistiche nazionali, fra le quali L'Opinione delle Libertà, La Voce Repubblicana, L'Ideologia Socialista, La Giustizia, Critica Sociale, Olnews, Electomagazine, Nuovo Giornale Nazionale, Liberalcafé. Suoi articoli sono e sono stati tradotti e apprezzati in Francia, Belgio, Serbia e Brasile. Ha pubblicato i saggi "Universo Massonico" (2012); "Ritratti di Donna (2014); "Amore e Libertà - Manifesto per la Civiltà dell'Amore" (2019); "L'Altra Russia di Eduard Limonov - I giovani proletari del nazionalbolscevismo" (2022) e "Ritratti del Socialismo" (2023)

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