Dall’accordo raggiunto ieri dalle due forze di governo, Movimento 5 Stelle e Lega, che conferma nel ddl anticorruzione il blocco della prescrizione dopo le sentenze di primo grado, posticipandolo però al gennaio 2020, quale notizia è possibile apprendere? Delle due l’una: o a breve ci troveremo sempre di più, anche formalmente (nella sostanza ci siamo già da anni) in una Repubblica giudiziaria, dove la magistratura fa il bello e il cattivo tempo, combatte gli avversari politici, fa e disfa maggioranze di governo, influenza le scelte del legislatore in materia di giustizia; oppure, è stata appena fissata la data (entro il 2019) della fine dell’esperienza di governo gialloverde (su quella del voto sarei più cauto). Questo, forse, il calcolo di Salvini nell’accettare che la norma, aberrante e illiberale, entri in vigore ma tra un anno. C’è da augurarsi la seconda, se il giustizialismo e l’assistenzialismo – che già sapevamo avrebbero caratterizzato questo governo – dovessero superare i livelli di guardia.
Non ci riconosciamo particolari meriti per aver anticipato, già nelle ore in cui il governo gialloverde vedeva la luce, qualcosa che ci sembrava ovvio. E cioè che il populismo “declinato all’italiana è privo degli anticorpi liberali che abbiamo visto, e vediamo all’opera invece nelle spinte anti-sistema nel Regno Unito e negli Usa”, e che soprattutto nel M5S prevalgono “una concezione statalista e istinti illiberali”. Da qui i “molti rischi” che intravedevamo già allora di “una deriva assistenzialista, esiziale per la nostra economia e i conti pubblici”, e di una “stretta finale della morsa giustizialista”.
Va detto che lo stop dell’economia italiana nel terzo trimestre rispetto al precedente va di pari passo con il rallentamento registrato in tutta l’Eurozona e l’Ue a 28 (0,2 e 0,3 per cento, secondo Eurostat). La stima della Commissione Ue sulla crescita del Pil italiano nel 2019, diffusa ieri, +1,2 per cento, non è poi così lontana dal +1,5 (ottimistico) del governo e va ricordato che da almeno due decenni l’Italia è sotto la media, fa sempre un poco peggio di Francia e Germania, a causa di un declino inarrestabile della produttività che parte da molto lontano. Può aver pesato uno stand-by degli investimenti delle imprese per l’incertezza politica, ma a causarla sono molti attori, non solo il governo gialloverde, mentre gli effetti del decreto dignità ancora non si sono visti. Gli ultimi dati Istat sull’occupazione registrano un forte calo di tempo indeterminato e una prosecuzione del trend di crescita del lavoro a termine.
Non è il 2,4 per cento di deficit in sfida alle regole “stupide” dell’Ue a rischiare di mandarci a gambe all’aria, ma l’impostazione assistenzialista della manovra e l’assenza di misure pro crescita. Negli Stati Uniti, solo per citare i dati più recenti, a ottobre i posti di lavoro sono aumentati di 250.000 unità, la disoccupazione è al 3,7 per cento, la paga media oraria è cresciuta del 5 per cento sul mese precedente e del 3,1 su base annuale. E questo grazie alla cura Trump, che non è solo dazi ma anche deregulation e meno tasse. Mentre qui da noi si pensa ai sussidi e a chiudere la domenica. Non si può fare di tutti i sovranisti e populisti un fascio, e a noi come al solito sembrano essere toccati quelli meno capaci… Come ha scritto Marco Faraci su Atlantico non tutti gli euroscetticismi sono uguali: c’è quello basato sui principi, e poi c’è quello farsesco e piagnone…
Quanto all’aberrante e pericolosa norma sulla prescrizione, come ha ricordato l’ex magistrato Carlo Nordio (qualcuno lo sente citare dalle parti degli antifascisti?), sarebbe “un dramma non solo per gli imputati ma anche per le vittime”. Senza la “pressione morale e disciplinare” dei tempi del processo delimitati dalla prescrizione, “i magistrati se la prenderanno più comoda”. Ciò significa poter restare sotto processo a tempo indefinito, ad libitum del pm di turno. Incostituzionale, perché con “la perversione di accollare all’imputato, ancora presunto innocente, le conseguenze dell’inefficienza del sistema”, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, fondamento dello stato di diritto, “già oggi vulnerato di fatto, lo sarà anche di diritto”. Ancor più assurdo che la prescrizione si interrompa anche dopo una sentenza di assoluzione in primo grado, osserva Nordio, “ma come, un giudice ha stabilito che sono innocente, quindi la mia presunzione d’innocenza è raddoppiata, e io devo aspettare a vita i tempi dell’appello e della Cassazione?”. Inoltre, sarebbe dannosa per l’economia, perché allungando la durata dei processi e aumentando la sfiducia nella nostra giustizia, si allontanerebbero gli investimenti; e sarebbe infine una beffa per le vittime, perché “rinviando all’eternità la conclusione del processo, danneggerebbe proprio le parti offese, che dovrebbero aspettare la sentenza definitiva per ottenere sia il risarcimento, sia la consolazione morale”, quindi l’opposto dell’effetto auspicato.
Peccato che ancora oggi la maggior parte di coloro che dalle pagine dei giornaloni mainstream, e di fogli più o meno corposi, o dai banchi dell’opposizione in Parlamento, non perde occasione per andare dietro all’ultima gaffe di questo o quel ministro, tifare “forza spread” o gridare al fascismo un giorno sì e l’altro pure, appaia invece molto più distratta quando la prima vera norma illiberale di questo governo, la prima concreta violazione dello stato di diritto, sta per vedere la luce sulla prescrizione. E già, perché la maggior parte di costoro non ha più credibilità da spendere in merito, dal momento che per anni hanno visto passare sotto i loro occhi, senza che sollevassero un sopracciglio, decine di misure assistenzialistiche e una vera e propria macelleria dello stato di diritto – come la riforma del codice antimafia sul finire della scorsa legislatura – approvate dai governi dei cosiddetti Competenti. Un pezzo di Pd è persino d’accordo sulla sospensione della prescrizione e non leggerete commenti troppo allarmati e sdegnati sui giornaloni d’area della sinistra di lotta e di salotto. E si capisce, avendo loro stessi alimentato per decenni il mostro giustizialista per abbattere il nemico politico, coltivando il retroterra culturale da cui poi sarebbe sorto il M5S per spingerlo alle estreme conseguenze.
Oggi che non sono loro a raccoglierne i frutti, non gli resta che una generica e scomposta accusa di fascismo e razzismo indirizzata peraltro alla componente di governo sbagliata e per motivi ancor più sbagliati. Noi a questo coro non ci uniremo, perché sbagliato nel merito e ipocrita nel metodo.
Che sia la tenuta dei conti pubblici, il segno pro crescita o assistenzialista delle misure di politica economica, o la giustizia e lo stato di diritto, come sulla prescrizione, non è la Lega la componente più irresponsabile e illiberale di questo governo. Eppure, l’argomento del fascismo e del razzismo viene scientemente agitato per colpire soprattutto la Lega e il suo leader, risparmiando invece il Movimento 5 Stelle – che chissà che prima o poi non possa essere “normalizzato” e ricondotto in uno schema destra/sinistra, reso “adulto” sotto la guida di un rinnovato Pd e dei soliti maître à penser. Una prospettiva accarezzata da pezzi di establishment, stampa, cultura, e persino dalla politica alle più alte sfere, essendo proprio questo lo sbocco, nell’immediato o quando maturassero le condizioni, a cui si è lavorato al Quirinale nei giorni della crisi, decidendo di non concedere nemmeno un tentativo al centrodestra, la coalizione uscita dalle urne maggioranza relativa in Parlamento.
Ora, diversi mesi dopo qualcuno comincia a svegliarsi. Che si tratti di economia, infrastrutture strategiche come Tap e Tav, o giustizia, si fa appello al buon senso leghista incarnato dal sottosegretario Giorgetti. Un Cerasa vagheggia addirittura di un’alleanza Pd-Lega, soprattutto tra gli industriali ci si accorge che la parte ragionevole del governo è quella “verde”, non quella “gialla”. Nella difesa dei confini, nell’ordine pubblico, nel controllo dell’immigrazione e nell’identità nazionale, che piacciano o no, non c’è nulla di fascista o razzista o “non umano”. Sono tratti comuni a molte destre democratiche. Pur molto diversa da quella di Bossi e Maroni, la Lega è un partito che ha già governato e che governa da anni a livello locale. Vero che sono quasi completamente sbiadite le venature liberali e federaliste degli esordi, per lasciar posto a un partito di destra nazionalista, ma è il M5S, con la sua carica giacobina e anticapitalista, la sua ignoranza anche dei più banali meccanismi che regolano l’economia e lo stato di diritto, la vera minaccia per un Paese come il nostro, dove la prima è da decenni fragile e il secondo già moribondo.
Di Federico Punzi mutuato da ATLANTICO QUOTIDIANO
Thatcherite. Anti-anti-Trump. Anti-anti-Brexit. Direttore editoriale di Atlantico e membro del Comitato scientifico di New Direction Italia. Giornalista per Radio Radicale, dove cura le trasmissioni dei lavori parlamentari e le rubriche Speciale Commissioni e Agenda settimanale. Ha pubblicato “Brexit. La Sfida” (Giubilei Regnani, 2017)