Comune di Roma, il candidato (se può) risponda sulle municipalizzate

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Un giovane e bravissimo analista politico, Luigi Di Gregorio, l’ha scritto ironicamente e malinconicamente su Facebook qualche giorno fa:  “Le scelte di policy (quelle vere) ormai sono in mano a Commissione/Consiglio UE e BCE. La selezione della classe dirigente è in mano a Procure e giornali. La durata e la stabilità dei governi, a tutti i livelli, è in mano a Procure e giornali. La vita e la morte dei partiti è in mano a Procure e giornali. Alla politica è rimasta solo la visibilità mediatica e la capacità di suscitare emozioni. E’ uno dei tanti spettacoli che i media ci propongono per intrattenerci. E come tale ci viene presentato. Un talent show concepito al contrario: più ci indigna, più funziona. Una gara al massimo ribasso, per tutti”.  E’ una sintesi desolante, ma assai vicina al vero.

Tuttavia, oltre a partecipare a questo reality-tv show permanente, sarebbe auspicabile che i candidati ai maggiori incarichi pubblici elettivi facessero un minimo di sforzo sui contenuti. E dicessero agli elettori non cinquanta, ma tre-quattro cose di fondo. Nessuno di noi è così ingenuo da ritenere che sarà o sarebbe davvero in grado di realizzarle. Ma almeno sarebbe utile (mettiamola così: quanto meno ai fini del “televoto” per questa versione politica di”X-factor”) sapere per cosa/da cosa/con cosa ogni aspirante “talento” intenda caratterizzarsi.

Mi spiego con un esempio. Roma è la città capitale d’Italia. Non la faccio lunga: la mia idea su come Roma sia stata amministrata nella Prima e nella Seconda Repubblica me la sono fatta (ho 43 anni, vivo da sempre a Roma, non guido e non ho un’automobile) in circa 30 anni da abbonato ai mezzi pubblici. Sintetizzerei così, rubando un’espressione al grande Antonio Martino: servizi africani e tasse scandinave. Una città allo sbando: traffico fuori controllo; strade devastate; ville e giardini in semiabbandono; sporcizia ovunque; sicurezza affidata allo “stellone” (oltre che all’abnegazione delle forze dell’ordine); totale assenza di un “progetto” di sviluppo (economico, urbanistico,infrastrutturale); illegalità diffusa; bilancio sfondato; un esercito spaventoso di 23 mila dipendenti del Comune. Può bastare?

No, non basta. Aggiungo che la municipalizzata dei trasporti, l’Atac, ha (tenetevi forte) 2 miliardi di buco, e quella dei rifiuti, l’Ama, circa 600 milioni.

Dinanzi a ciò, e giuro che non si tratta di un mio scherzo, i maggiori candidati (inutile abbinare nomi e cognomi a ciascuna delle seguenti sortite: mi limito a citare fior da fiore…) hanno avanzato nelle scorse settimane le seguenti proposte:

-funivie antitraffico;

-inversione del senso dimarcia delle corsie preferenziali;

-aumento di stipendio di3-400 euro per i 23mila dipendenti del Comune;

-opportunità o no di celebrare unioni civili;

-taglie anticorruzione;

-supervisione delle liste elettorali dalla Commissione parlamentare antimafia (e non so da quale altro “Consiglio dei Guardiani”);

-un’utile informazione sul cambio di auto da parte di un candidato quando si trova sul Raccordo Anulare, scendendo da una troppo appariscente Ferrari e salendo su un’utilitaria;

-una pubblicità elettorale che evoca un verso di Pasolini (il quale non può difendersi…): “e tu invece splendi, Roma”.

Di tutta evidenza, siamo all’incrocio tra il surreale e il ridicolo.

Per tentare disperatamente di andare su cose serie e concrete, propongo un quiz semplice semplice: dica il candidato se, rispetto alle municipalizzate (tutte, non solo alcune; tutte, non solo quelle meno rilevanti; senza perifrasi, senza circonlocuzioni, senza attorcigliamenti), è disponibile ad affermare: vendiamo tutto, mettiamo tutto a gara, e mai più servizi “in house” forniti dal Comune, ma solo libera competizione tra offerte migliori per il bene del cittadino.

Questo è il piccolo sogno (ol’illusione) di chi vuole bene a Roma e alle idee liberali.

In mancanza di una risposta seria, poi non ci si sorprenda se gli elettori più saggi dovessero scegliere l’astensione…

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