Votiamo SI perché l’Italia non è una colonia

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Italia
Large Pacific Ocean oil rig drilling platform off the southern coast of California.

Nel luglio del 1988 ci fu incidente gravissimo su una piattaforma che estraeva prima petrolio, poi gas, nel Mare del Nord, a circa 200 chilometri da Aberdeen (Scozia). La compagnia petrolifera era statunitense. Incidente gravissimo in termini di perdita di vite umane (gli operai che lavoravano nella piattaforma) ed in termini di inquinamento ambientale. Chi cerchi su Internet per saperne di più sulla vicenda di quella piattaforma, denominata Piper Alpha, leggerà che, a partire da allora, gli standards di sicurezza degli impianti hanno fatto progressi notevolissimi. Questa sicurezza, però, non deve essere assoluta, posto che, cercando cercando, si può facilmente constatare che nel mese di agosto 2011 ci fu un’altra importante fuoriuscita di petrolio da un’altra piattaforma, a circa 180 chilometri da Aberdeen (la medesima città scozzese).

L’incidente più spettacolare, ben impresso nella nostra memoria, si è verificato nel Golfo del Messico nel mese di aprile del 2010. Stavolta la compagnia petrolifera era britannica. Il petrolio continuò a bruciare in mare per 106 giorni consecutivi, dal 20 aprile al 4 agosto 2010, senza che si riuscisse a spegnere l’incendio.

Il Mediterraneo è un mare relativamente piccolo, con due soli canali di collegamento con gli oceani: Gibilterra (tra Spagna e Marocco) e il Canale di Suez (in Egitto). L’Adriatico, partizione del Mediterraneo, è un mare chiuso fra terre (costa italiana e costa dei Paesi balcanici), con una sola significativa apertura in direzione Sud-Est.

Quanto scritto finora porta ad alcune prime conclusioni: non è vero che gli attuali standards tecnologici consentano di estrarre petrolio e gas dal mare in assoluta sicurezza. Un incidente in un mare lungo e stretto, con limitate possibilità di ricambio d’acqua, qual è l’Adriatico, avrebbe un impatto ambientale tanto più dirompente.

L’accusa che normalmente si muove alle persone preoccupate di tutelare l’ambiente è di muovere da una cultura anti-industriale. Per quanto mi riguarda, voglio preliminarmente ricordare quanto si legge nell’articolo 41 della Costituzione della Repubblica italiana: «

1. L’iniziativa economica privata è libera.

2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Programmare è una responsabilità propria dei decisori politici (del Governo nazionale e delle Amministrazioni locali interessate, secondo le rispettive attribuzioni ed i rispettivi ambiti di competenza). Controllare è una responsabilità che coinvolge organi tecnico-amministrativi (Aziende sanitarie locali, Agenzie che operano a tutela dell’ambiente, eccetera), che si esercita anche per il tramite di appartenenti alle Forze dell’Ordine, che, in ultima analisi, quando si configurino reati, porta ad un processo e ad un giudizio pronunciato dai Giudici competenti.

Perché parlamentari, uomini di governo, amministratori regionali e locali, non dovrebbero incorrere in rapporti di scambio improprio con faccendieri e rappresentanti di compagnie che estraggono petrolio e gas? Lo scambio è facile da immaginarsi: da un lato si può concedere che si ponga in essere un’attività a forte impatto ambientale e, nel contempo, si può fare in modo di non essere troppo invadenti e pressanti con le attività di controllo; dall’altro lato si possono elargire vantaggi personali (non soltanto denaro, ma le più varie utilità) a quanti, ai diversi livelli, consentono che la data attività a forte impatto ambientale prosegua indisturbata. I vantaggi personali che politici, amministratori, pubblici funzionari, corrotti ed infedeli, potranno trarne saranno tanto più cospicui, quanto più importante e duraturo è il giro d’affari legato a quella data attività a forte impatto ambientale.

Qual è l’unico fattore che può fare la differenza, che può indurre parlamentari, amministratori regionali e locali, pubblici funzionari, a stare molto attenti ed a pensarci bene prima di cedere alle “pressioni” di faccendieri e imprenditori privi di scrupoli? Quest’unico fattore è la pressione dell’opinione pubblica. In un ordinamento democratico, ciò che pensa l’opinione pubblica conta, eccome.

Il mare, le acque dolci, le falde idriche, le piante, non possono difendersi da soli: spetta a noi, semplici cittadini, difenderli. I credenti chiamano l’impegno in questo campo: salvaguardia del Creato. E, difendendo questi beni, difendiamo anche la nostra salute ed il nostro vivere in armonia con l’ambiente naturale. E, dimostrando in ogni occasione utile la nostra ferma volontà di difendere il mare, l’ambiente naturale, le bellezze paesaggistiche, aumentiamo il nostro “peso”, anche in termini brutalmente economici, agli occhi dei faccendieri, dei petrolieri senza scrupoli, eccetera. Questi comprenderanno che non possono trattare l’Italia come una volta si trattavano le colonie, perché si può corrompere questo o quel politico, questo quel funzionario, ma non si può tenere testa ad un intero popolo che, compattamente, pretende di sapere, chiede garanzie, è pronto a mobilitarsi alla minima irregolarità riscontrata.

A proposito di “colonie”, ho trovato molto significativo apprendere che le normative oggi vigenti in Italia accordano royalties di assoluto favore alle industrie che estraggono petrolio e gas, nel territorio statuale e nel mare territoriale. Questo è il paradiso dei petrolieri; in nessun altro Paese del mondo industrializzato le ditte che estraggono petrolio e gas pagano così poco allo Stato ospitante. Ci sarà una ragione? Sarebbe questa una dimostrazione di cultura industriale? O non è, invece, l’ennesima conferma di una vera e propria subordinazione del nostro ceto politico agli ambienti economici che contano nel mondo, industriali e finanziari, con una conseguente svendita di beni comuni italiani? Non abbiamo davvero bisogno di governanti che siano più realisti del Re, ossia che aspirino al primato fra i servi.

Immaginatevi se i SI al Referendum del 17 aprile fossero tanti, milioni e milioni. Immaginate cosa succederebbe se addirittura si raggiungesse il quorum ed il SI prevalesse legalmente. Io penso che questo comporterebbe una prima grande conseguenza: gli ambienti economici che contano nel mondo dovrebbero imparare a rispettare di più il popolo italiano.

 

 

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