Caccia e fauna: salute del territorio e diritto venatorio, il modello trentino

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Era il mese di novembre 2014, quando moriva Diego Moltrer, politico trentino originario di Fierozzo, un piccolissimo paesino della Valle dei Mocheni. Diego era amato e stimato da gran parte dei trentini; la sua morte è nota, però, a tutta Italia: essa scatenò infatti un increscioso spettacolo politico, definibile anche come incidente diplomatico grave, offerto dal Segretario del Partito Animalista Europeo, Enrico Rizzi. Quest’ultimo sfogò un’esultanza internazionale, a mezzo web e a mezzo stampa, deprecabile, gioendo per la morte di Diego; il peccato originale: essere anche un cacciatore. Dunque, a distanza di un anno dal tragico fatto, si propone una riflessione, obbligata, sullo Stato dell’Arte della caccia, in Trentino e in Italia.

Baratter Lorenzo
Lorenzo Baratter Cons. Reg. e Prov. (PATT)

Una premessa è d’obbligo: il bracconaggio, in Italia, ha ancora una grossa fetta di responsabilità rispetto ai danni che gli uomini – senza criterio e morale – possono causare alle popolazioni faunistiche selvatiche. Bracconaggio e metodi di caccia irrispettosi del dolore e della sofferenza degli animali sono dei reati veri e propri, che meritano l’attenzione mediatica, esattamente come merita un’attenta analisi il mondo dell’allevamento intensivo – laddove non rispetti le norme – concorrente causa d’inquinamento ambientale in emissione di CO2 e di maltrattamento ignobile di animali destinati al mercato del settore alimentare. In accordo con quanto sostenuto da Greenpeace e WWF, nonché dal Ministero dell’Ambiente, ci si vuole soffermare principalmente su alcuni temi fondamentali, in fatto di caccia: in sostanza serve fare chiarezza tra quanto è legalizzato e quanto non lo è, quanto è sostenibile e quanto, invece, non lo è.

A fare un quadro generale sulla situazione della caccia in Trentino e in Italia è Lorenzo Baratter, Consigliere provinciale e regionale del PATT in Trentino, che ha dato la disponibilità a portare il suo punto di vista, di politico e di storico, sulle pagine del Liberalcafé, nel tentativo di dare alla caccia – in Italia – una giusta collocazione nel quadro generale delle attività legalizzate, optando, specificatamente, per un rigore preciso, da parte delle singole territorialità, nello studiare strategie ecocompatibili e nel combattere l’illegalità venatoria, infine nel valorizzare anche gli aspetti culturali e sociali che la caccia, nelle comunità italiane, porta con sé: la tradizione culturale, la legislazione territoriale, il bracconaggio, il rispetto dell’ambiente, gli ecosistemi e la tutela delle specie protette o in via di estinzione.

Non c’è un giudizio politico da dare – commenta ai fatti che riguardano Diego Moltrer – ma un giudizio umano nei confronti di un fatto: un soggetto del PAE che insulta la memoria di una persona che non conosce solo per il fatto che è stato un cacciatore, gioendone della morte, è un atto spregevole dal punto di vista umano – commenta in merito agli avvenimenti dello scorso anno – stiamo parlando di una persona che viene trattata da morta in quel modo, un comportamento inqualificabile che non attiene a persone civili.

La vita degli animali di pari dignità alla vita delle persone?

Premetto che io non sono un cacciatore. Ma la caccia è un’attività normata e riconosciuta dalle Leggi dello Stato, essa accompagna la vita dell’uomo fin dall’antichità, ma è anche un’attività che si è modificata nel tempo con il modificarsi delle attività umane. Qualche anno fa ho curato un evento culturale che illustrava la storia dei cacciatori nelle Alpi e che metteva in luce le peculiarità di questa attività sulle Alpi: nel nostro territorio (Trentino) esiste un sistema di caccia che, nel prelievo venatorio, responsabilizza fortemente il cacciatore rispetto al suo territorio. Tale concezione della caccia, con relative norme, è particolarmente attuata in Trentino – Alto Adige/Südtirol molto meno nel resto d’Italia: in questo senso la caccia locale vincola fortemente la responsabilità del cacciatore alla continuità dell’attività venatoria e ogni cacciatore è destinato a una precisa riserva. Ho profondo rispetto per gli animali ma essi non sono esseri umani”.

Che obiettivi ha in generale la caccia?

In linea di massima si parla di una caccia di selezione, effettuata con l’obiettivo di contenere popolazioni di selvatici che, non avendo predatori naturali, possono raggiungere un numero in alcuni casi non adatto a un ambiente fortemente antropizzato“.

Cosa accadrebbe se improvvisamente la caccia non fosse più un’attività praticata?

E’ difficile presentare degli scenari: se non ci fosse il cacciatore e non esistessero predatori naturali (animali selvatici predatori) evidentemente determinate popolazioni crescerebbero a dismisura a danno dell’ecosistema, particolarmente in determinate specie. Al contrario con questo sistema si mantengono costanti le popolazioni selvatiche: la caccia serve anche – in alcuni casi – a ridurre quelle componenti delle popolazioni in eccesso, a volte ammalate, oppure problematiche, mantenendo un livello di salute ottimale delle stesse popolazioni“.

Questo vale anche per l’orso?

No, dobbiamo fare un passo indietro! L’orso è una specie tutelata a livello nazionale, si tratta di una tutela rispetto alla quale esiste una normativa, in Italia, che va rispettata. Molti anni fa è iniziato il progetto Life Ursus (noto ai più) con la finalità di reintrodurre l’orso su tutto il territorio alpino; al momento la popolazione degli orsi è presente prevalentemente nella zona del Brenta in Trentino: è evidente che dei problemi ci sono stati perché il numero degli orsi è crescente e dunque essi vengono a scontrarsi con le abitudini della popolazione residente. Alcune situazioni sono state particolarmente gravi, questo è evidente. Il problema della convivenza tra uomo e orso è un problema aperto, ma la politica non può usare questi argomenti per farne campagna elettorale; la politica dovrebbe avere serietà, non procedere per slogan. Di certo il Trentino è una delle zone da sempre più attente alla salvaguardia ambientale, a un’oculata attività venatoria, a un rispetto degli ecosistemi e della biodiversità, senza timore di smentita“.

Esiste un prospetto che indichi il numero di orsi ideale, per popolazione selvatica, da tenere sul territorio?

Io credo che esista un numero sostenibile: lo Stato deve anche capire le necessità di un territorio. In merito ad esempio agli episodi dello scorso anno: le aggressioni sono gravi perché un cittadino – pur con tutte le precauzioni del caso – deve avere il diritto di muoversi liberamente sul territorio, senza trovarsi in pericolo o perdere la vita“.

Come si prospetta il rapporto tra l’orso e il turismo?

Quando ci fu l’episodio tragico di Cadine (Trento), alla vigilia dell’estate, si disse che ci sarebbe stato un crollo delle presenze nelle zone interessate: c’è stato invece un incremento. L’orso, in alcuni casi, pare sia diventato anche un’attrattiva. Tuttavia questo non significa che bisogna usare l’orso come attrattiva turistica o negare che esista un problema di sicurezza pubblica, ma è evidente che l’orso – se contenuto e se controllato in determinate condizioni e se rispettato nella sua privacy – è anche un elemento di attrazione e valorizzazione del territorio“.

Dunque niente caccia all’orso, ma la caccia è sussistenza o lavoro?

La caccia oggi non è di sussistenza per nessuno, almeno sul nostro territorio. Vanno a caccia le persone che hanno passione per l’attività venatoria, ma a differenza di 40 anni fa sono poche le persone che vanno a caccia per alimentarsi”.

Uccidere è una crudeltà?

Gli ambientalisti a volte sostengono che sia una crudeltà. Mi piacerebbe che su questi temi delicati non ci fosse radicalizzazione, ma un confronto onesto. A mio parere non è una crudeltà: quegli animali sono vissuti per un certo numeri di anni liberi e felici nei boschi, c’è l’istante della morte, ma il resto della loro esistenza che cosa è stato? E’ meglio un capriolo che ha vissuto sempre felice fino alla morte o l’animale che vive in una gabbia o in una batteria, che non vede mai la luce e non vede mai un prato? Il non rispetto della vita degli animali non sta nell’attività venatoria, ma piuttosto penso ai polli che vivono nelle batterie, in condizioni di stress incredibili, quelle cose mi preoccupano. Bisogna sensibilizzare e incentivare forme più rispettose di allevamento, dove gli animali vedano l’erba, vedano il sole e siano felici; questo è quello che si dovrebbe cercare di fare se ci interessa la felicità degli animali“.

Attività integrata dell’uomo che si integra con l’ambiente?

Premesso che personalmente non andrei a caccia se proprio non ne avessi bisogno, la mia onestà intellettuale mi porta a pensare e capire le ragioni per cui un cacciatore lo fa: cerco di capire la posizione di animale e cacciatore. C’è dietro una storia e una cultura, specialmente in montagna: il cacciatore non è un figura qualsiasi. Il cacciatore non si limita ad andare a caccia nel periodo dell’attività venatoria, i cacciatori fanno una manutenzione dei boschi che è molte volte elevata, favorendo la salute degli animali. Essi contribuiscono al benessere degli animali. La caccia riporta l’uomo nell’ecosistema, è un’interazione naturale che esiste, tra uomo e ecosistema e la funzione del cacciatore è di regolare questo sistema, fungendo da predatore nell’ambiente. Il cacciatore compie un’attività di selezione e di miglioramento che porta alla salute delle popolazioni selvatiche“.

Ci sono altri motivi per cui alcune persone vanno a caccia?

Ai cacciatori interessa anche il trofeo e non sono argomenti banali: interessa per il valore estetico e per il riconoscimento sociale. Il mondo della caccia si presenta alla gente con le Mostre di trofei che si ripetono ogni anno a stagione venatoria conclusa: lì i cacciatori presentano il frutto del loro impegno. Avere ottenuto il miglior trofeo è sicuramente un accrescimento nella società di riferimento. Le mostre di trofei di caccia si tengono in tutta Italia: si tratta di premi e mostre con centinaia di esemplari. C’è un mondo di appassionati che è enorme. Prima di giudicare, bisogna capire. Io ho frequentato questi incontri pur senza essere cacciatore, ho imparato molto e mi sono fatto un’idea intellettualmente onesta dell’attività venatoria”.

Vegetariani, veganisti e cacciatori, come risolvere questo nodo?

Ho constatato che ad oggi su ogni tema si va sempre più verso un integralismo. Non è possibile che si creino delle divergenze così grandi tra chi sostiene posizioni opposte, questo atteggiamento non serve a nessuno. Cerchiamo di ragionare: io ho rispetto per chi non mangia la carne, chi non mangia la carne probabilmente fa una scelta più salutare. Però ci deve essere una libertà di scelta, che va rispettata. Penso piuttosto che il punto da discutere sia un altro: non chi mangia carne e chi invece verdura,  ma a che tipo di prodotto si fa riferimento. Più che dire semplicemente carne sì o carne no, è la qualità di ciò che mangiamo la vera questione: perché posso essere vegetariano, ma se non so dove prendo le cose che mangio, allora, a che cosa serve: è la salute che conta. Premesso ciò io credo che il consumo della carne abbia accompagnato la storia dell’umanità“.

L’attuale normativa?

Parlo principalmente del Trentino perché conosco questa realtà: io credo che in Trentino ci siano le condizioni per cui gli ambientalisti e i cacciatori possano dialogare e gli stessi ambientalisti sono stati coinvolti sul tavolo che riguardava la normativa sulla caccia, per cui non c’è stato uno scontro frontale; il bracconaggio invece è un delitto, purtroppo non del tutto debellato, sono fatti penali: i cacciatori che rispettano le regole collaborano, non sono omertosi. Anche questo va detto. Collaborano con chi deve fare i controlli perché le mele marce restino fuori dal cesto. Io credo che questo sia un pregio del nostro territorio“.

Che ne pensi del Leone Cecil?

Fa male vedere infierire su specie che sono in difficoltà, che sono a rischio di estinzione. A me non piace oltremodo chi ostenta la morte della preda, ci vogliono etica e rispetto in questo. C’è stato un periodo in cui in Trentino si uccidevano le aquile, una cosa pazzesca. Oggi invece la salvaguardia di queste specie è uno dei valori fondanti del nostro territorio. Ma basta leggere la cronaca di 50 anni fa: “Una madre uccide con un colpo di rastrello un’aquila che minacciava la propria bambina”. Oppure “Sparò contro l’aquila due colpi e l’aquila piombò al suolo”, “Colpo da maestro abbattuta l’aquila reale”, articolo datato 1955, scritto dal quotidiano “Alto Adige”, parliamo di sessanta anni fa, articoli dove ci si vanta di aver eroicamente ucciso un’aquila di due metri di apertura alare, forse in zona era l’unico esemplare. Questa era la mancanza totale di sensibilità. Ogni anno in Italia e in Europa e nel mondo ci sono specie che spariscono per colpa di bracconieri. “.

Sempre nello stesso libro si trovano esempi che citano la storia della caccia in Trentino: l’attività venatoria è una delle attività che fanno parte del territorio trentino; ha una regolamentazione dettagliata, il suo aggiornamento è sempre stato preciso; in passato, in epoca asburgica, la caccia privata era consentita solo a chi possedeva almeno 115 ettari. Con il passaggio all’Italia la norma non cambiò, fatto salvo il diritto di caccia, che venne recepito e adeguato dalla Regione prima e dalla Provincia poi.

Cacciare e allevare sono assimilabili?

Mangiare la selvaggina è un piatto che piace, ma non è un piatto che si mangia tutti i giorni; chi potesse mangiarne di più probabilmente ne farà alcune cene all’anno. Il cacciatore ha seguito l’animale, lo ha alimentato, lo ha curato anche in inverno, quando l’animale avrebbe avuto difficoltà a sopravvivere; i cacciatori vanno nella neve a nutrire i caprioli che altrimenti morirebbero, portando il fieno, le mele, il sale. Il cacciatore non va perché ha fame, ma lo fa per altri motivi, va perché è un’attività riconosciuta di selezione. Qualcuno lo deve fare, e a lui piace farlo. Si tratta di persone con spesso una tradizione di ereditarietà in famiglia, quasi sempre è un’attività che continua da generazioni e generazioni, c’è un fattore identitario e tradizionale che non è banale, perché se da generazioni una famiglia è dedita alla caccia, essa è una parte del patrimonio di pratiche e conoscenze”.

Cosa diresti a chi è scatenato contro la caccia?

“Se ci si riferisce a taluni atteggiamenti integralisti, come ad esempio si evince dai Social, dico che quando la violenza verbale viene usata per controbattere a questioni politiche non è inferiore, anzi, fa più male della violenza fisica. Quando si ritiene di essere nel giusto e si usa violenza verbale, allora si diventa violenti. Anche chi spara parole è violento, può uccidere con le parole, facendo molto male; certe cose che si leggono e che si sentono, sono a un livello di disumanità, volgarità e cattiveria umana, impiegate per difendere un ideale, che sono incredibili. Questo denota profonda debolezza d’animo e ignoranza. Da qualunque parte essa provenga, sia tra i favorevoli che tra i contrari alla caccia. Ma nel mio territorio ho sempre trovato degli interlocutori civili nei cacciatori e anche negli ambientalisti. Mi preoccupano i toni inaccettabili cui a volte assistiamo a causa di facinorosi. Nel mondo moderno pure internet ha le sue colpe: la logica dei “mi piace” produce dei mostri. Che caricano energia negativa. Diventa pericoloso per la società, si vanno aggregando forze negative che poi hanno un effetto reale. Internet è uno strumento positivo per molti aspetti, ma per altri pericoloso“.

 

Di Martina Cecco

 

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