La Conferenza stampa delle opposizioni

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Venerdì 13 febbraio 2015 ho assistito con un misto di stupore e di crescente angoscia alla Conferenza-stampa tenuta congiuntamente dai deputati Renato Brunetta per il Gruppo di Forza Italia, Arturo Scotto per il Gruppo di Sinistra, Ecologia e Libertà, Massimiliano Fedriga per il Gruppo della Lega Nord, Fabio Rampelli per il Gruppo di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale, Barbara Saltamartini del Gruppo Misto.
Immediatamente dopo, il Gruppo del Movimento Cinque Stelle avrebbe tenuto la propria Conferenza-stampa. Separata, ma volta a comunicare sostanzialmente la medesima cosa: tutte le opposizioni parlamentari hanno deciso di abbandonare l’Aula della Camera dei deputati, in segno di protesta rispetto al modo in cui si stanno svolgendo i lavori parlamentari nella discussione del disegno di legge costituzionale che si prefigge di riformare radicalmente la Parte seconda della Costituzione della Repubblica italiana.

E’ vero che non siamo nel 1924; ma la circostanza che tutte — ripeto, tutte — le opposizioni parlamentari abbiano deciso congiuntamente di non partecipare ai lavori della Camera, qualche riflessione dovrebbe pur suscitarla.
Oltre la teatralità dei gesti, oltre l’incapacità di pesare le parole, oltre un poco radicato ed altalenante senso di responsabilità nei confronti delle Istituzioni democratiche, tutti limiti che si potrebbero individuare negli esponenti politici che hanno tenuto le due conferenze-stampa, non è possibile che l’opinione pubblica italiana resti del tutto indifferente di fronte alla circostanza che la nostra Costituzione venga modificata, in sue parti essenziali, in base alla mera logica della maggioranza numerica. Eppure quante parole, quanta retorica, erano state spese in precedenza per affermare l’esigenza che la modifica delle regole del gioco democratico si realizzasse con il più ampio contributo possibile delle forze politiche rappresentate in Parlamento!
La Costituzione è la legge delle leggi; è gerarchicamente sovraordinata alle leggi ordinarie e fornisce i criteri per valutare le medesime leggi sotto il profilo della legittimità costituzionale. Affinché, con apposite pronunce della Corte Costituzionale, possano essere eliminate dal nostro ordinamento giuridico le disposizioni di legge che, eventualmente, siano giudicate in contrasto con disposizioni della Costituzione.

Non è del tutto normale che un Governo assuma l’iniziativa di modificare la Costituzione, essendo preferibile che, in materia, il Parlamento resti sovrano ed assuma liberamente le proprie determinazioni. Eppure, è proprio questo che il Governo Renzi ha fatto (si veda il disegno di legge costituzionale n. 1429 / Atti Senato, a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro Boschi, presentato l’8 aprile 2014).

E’ anormale che il Presidente del Consiglio dei Ministri, stavolta nella sua seconda veste di Segretario del Partito democratico, abbia negoziato i contenuti della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale con un solo partito di opposizione, Forza Italia, ed abbia poi chiesto a tutti i Gruppi parlamentari, di maggioranza e di opposizione, di accettare a scatola chiusa quanto definito negli accordi bilaterali con Forza Italia (cosiddetto Patto del Nazareno). Ciò equivale a dire che il Parlamento, in quanto Istituzione, è stato scavalcato e mortificato, con una costante forzatura delle procedure parlamentari. Qualcuno ricorda, ad esempio, la vicenda dell’emendamento a firma del senatore Stefano Esposito, del Gruppo del Partito democratico, approvato dal Senato nella seduta n. 381 del 21 gennaio scorso, emendamento risultato decisivo affinché venisse approvato il disegno di legge in materia elettorale esattamente come da ultimo rielaborato dal Presidente del Consiglio? Quell’emendamento scritto male dal punto di vista tecnico, sempre in ragione della fretta che dovrebbe giustificare ogni cosa, ha poi determinato la necessità di corpose correzioni formali. Con l’ovvio effetto di suscitare proteste anche nei confronti del Presidente di turno del Senato, che si è prestato a far passare come correzioni formali norme di pregnante sostanza.
E’ politicamente irrazionale, oltre che scorretto sul piano delle procedure parlamentari, che oggi il Presidente del Consiglio pretenda di approvare senza modifiche le riforme costituzionali e la nuova legge elettorale, frutto del Patto del Nazareno, dopo che quel patto è entrato in crisi per espressa affermazione dell’altro contraente, ossia Forza Italia. Il patto non c’è più, ma bisogna restargli fedeli: la battuta di Pier Luigi Bersani esprime perfettamente la nuova situazione.

In parole povere, secondo il sedicente riformismo del nostro Presidente del Consiglio, sarebbe normale ricorrere a sedute fiume quando si discute della Costituzione e pretendere la fedeltà dei deputati appartenenti alla maggioranza per respingere qualunque emendamento presentato dalle opposizioni. Per respingerlo a prescindere dal merito, semplicemente perché non bisogna disturbare il manovratore. Tanta insistenza sulla logica dei numeri non tiene minimamente conto del fatto che, come ha ricordato il deputato Fedriga, nelle elezioni politiche per il rinnovo della Camera del 24 febbraio 2013, le liste del Partito democratico ottennero il 25,43 % dei voti validi espressi nel territorio nazionale. Ossia, in voti assoluti, meno dei voti ottenuti dalle liste del Movimento Cinque Stelle, che, in quell’occasione, ebbero il 25,56 % dei consensi. I 340 seggi sicuri sui quali oggi il Partito democratico può fare affidamento nella Camera sono dovuti alla prevalenza della coalizione elettorale cui aderiva, della quale però facevano parte altre liste (come, ad esempio, SEL), e, soprattutto, sono dovuti al corposo premio di maggioranza. Com’è noto, oggetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, che dichiarò l’illegittimità costituzionale delle modalità di attribuzione di quel premio in seggi.
I gruppi parlamentari di opposizione hanno chiesto di essere ricevuti dal Presidente della Repubblica e non sarebbe giusto da parte nostra aggiungere ulteriori pressioni sul Presidente, che saprà lui come decidere per il meglio, in questo delicato passaggio.

Una cosa, però, va detta. Poiché sono un convinto sostenitore della democrazia parlamentare e penso che le riforme pasticciate facciano più male che bene, esprimo la mia solidarietà ai gruppi di opposizione. Comprendo le loro ragioni. Un Parlamento in cui non si discuta nel merito e contino soltanto i numeri non ha ragione di esistere!
Qualora la riforma della Costituzione rimanesse quella che è ora, saprò bene come regolarmi in occasione del referendum popolare confermativo. Renzi vorrebbe trasformarlo in un referendum pro, o contro, la sua persona; ma non è detto che l’arroganza paghi.
Peccato, comunque, per l’Italia, che, con campioni di riformismo di questa natura, sta perdendo un’altra occasione per fare utili passi in avanti.

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