di MArtina Cecco
Bene anche Liberali e sorpresa Verde
Europee: il Partito Popolare e i Democratici europei vincono le elezioni, con 263 seggi saranno loro a rappresentare l’Europa nel resto del mondo, ma l’esito del confronto elettorale non rispecchia in alcun modo quella che dovrebbe essere l’Europa di Lisbona.
Primo fra tutti la bassa partecipazione al voto, il confronto elettorale europeo vede un minimo storico dell’affuenza alle urne, secondo i dati statistici, che registrano la partecipazione dal 1979, nel confronto Germania, Francia, Italia, Netherlands, Belgio, Luxembourg, UK, Danimarca e Ireland, ad oggi la percentuale passa dal 61.99% al 42.94% di votanti del confronto 2009, in 30 anni il consenso sulla partecipazione per costruire l’Europa, nonostante l’annessione dei paesi sia a quota 25 membri, decresce del 19%.
Ampio il consenso dato al centro destra nonostante una presenza forte della sensibilità ambientalista, che vede un confronto attuale (TNS – Parlameno Europeo) descritto nei risultati in Italia tra il PDL, in testa e il PD; in Europa la situazione vede i Popolari Democratici, il Partito Socialista, il Partito Liberale e i Verdi, in un ampio confronto democratico tra maggioranza e minoranza che dipenderà dai seggi in attribuzione in queste ore.
L’Europa votante ha scelto centro-destra, descrivendo una situazione di estrema chiusura all’estero: chiusura sintomatica data dall’assenteismo, dal disinteresse, dalla poca fiducia nel Parlamento Europeo e dall’esito stesso.
Mancare al voto europeo significa non avere fiducia in questa istituzione, significa chiudere i confini e delegare a un potere risicato, tanti, piccoli e ben divisi, così rimangono anche alla luce di questa tornata elettorale gli stati membri.
Le cause di questo fallimento sono il pane del politico europeo: perché non ci si crede e che cosa si deve fare per cambiare le cose. Non saranno certo le discussioni sterili a risolvere, un aiuto alla diffidenza arriva certo dal mondo economico e dalla precarietà della produzione e dell’impiego, il divario tra i paesi membri in fatto di ammortizzatori sociali, la democrazia statutaria e la mancanza di una definizione europea di stato di diritto.
Buoni motivi, questi, per scegliere di monitorare e garantire la presenza “giocando in casa” senza rischiare di cambiare un equilibrio che sempre meno riceve consenso. Destra di stabilità e destra di tradizione, quella che gli europei hanno scelto, con la coscienza che, alla luce dei provvedimenti approvati dal Parlamento Europeo nel 2009, non saranno più possibili le allenze trasversali tra i movimenti del tradizionale “gruppo misto”.
Più stabilità determinata da un voto tutto sommato equilibrato, che permetterà in confronto equo tra le posizioni, che saranno definitive a partire dal 29 giugno prossimo, data deputata per la conclusione degli accordi.
Secondo le prime dichiarazioni dei leader eletti l’esito è il disegno chiaro di una necessità di affrontare le situazioni di crisi interne all’Europa, mettendo al momento in secondo piano i problemi connessi ad emigrazione, internazionalità e quelle che sono state definite dai politici stessi “utopie europeistiche”.
Il 14 luglio prossimo, una data importante, sarà la volta del primo appuntamento istituzionale: in quella occasione si riunirà la nuova assemblea europea di Strasburgo in plenaria per l’elezione del nuovo Presidente del Parlamento Europeo.