Per la Livni i problemi cominciano ora

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di Giovanni Radini

Sta alla Livni adesso. Con la vittoria ottenuta nelle primarie di Kadima e le successive dimissioni di Olmert, per il Ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, si apre la strada per formare un nuovo governo. E, secondo l’auspicio dei governi occidentali, di concretizzare i buoni propositi di pace che, al summit di Annapolis del novembre 2007, israeliani e palestinesi avevano sottoscritto.
Il passaggio di consegne Olmert-Livni è la realizzazione di una previsione che molti avevano avanzato già all’inizio dell’anno. Oggi bisogna chiedersi se la nuova leader di Kadima ce la farà. In molti hanno scommesso su di lei perché donna – sulla base del precedente di Golda Meir –, perché caratterialmente determinata e, infine, perché politicamente figlia di un “pezzo da novanta” quale è stato l’ex premier Sharon. Doti importanti, queste, alle quali però si contrappongono le critiche di scarsa incisività che alcuni giornali israeliani le hanno rivolto in queste ultime settimane. D’altra parte, è stata lei ad aver guidato la rappresentanza israeliana nel confronto con i palestinesi di Fatah. Ed è stata sempre lei ad aver accordato l’apertura del dialogo, seppur in forma indiretta, con la Siria. In entrambi i casi, ha fatto capire la sua convinzione che la sicurezza di Israele è possibile non più ricorrendo alla guerra, ma attraverso il paziente lavoro della diplomazia, confrontandosi con gli ex-nemici, facendo loro concessioni e riconoscendone la sovranità.

Insomma, Tzipi Livni, orgogliosa figlia di militanti dell’Irgun e lei stessa ex agente del Mossad a Parigi, ha tutte le carte in regola per assumere la leadership di Israele. Sarà però capace di formare il governo adatto a portare avanti il processo di pace e, contemporaneamente, mantenere in vita l’ambizioso progetto politico centrista di Kadima?
Inevitabile, per questo, scendere a compromessi e mantenere unita la coalizione che ruotava fino a ieri intorno a Olmert. Il Partito laburista di Ehud Barak ha già reso nota la propria disponibilità a partecipare a un nuovo esecutivo di unità nazionale. In questo caso, i suoi 19 parlamentari resterebbero alleati con i 29 di Kadima. Il “Partito dei pensionati”, a sua volta con 7 rappresentanti alla Knesset, non dovrebbe porsi d’ostacolo. I problemi, però, potrebbero derivare dallo Shas (12) e da Ysrael Beitenu (11), entrambi partiti di destra che avevano appoggiato Sharon e poi Olmert. Ma che ora potrebbero abbandonare il governo nel caso i colloqui con i palestinesi aprissero le trattative sul “nodo Gerusalemme”. Per entrambi i partiti, la “città santa” è l’unica e indivisibile capitale dello Stato di Israele e per questo non può diventare merce di scambio per la pace. Se la Livni dovesse andare contro questo dogma, non è da escludere un loro abbandono della maggioranza.
Il rischio più immediato, di conseguenza, sarebbe che Israele vada alle elezioni anticipate, che queste le vinca il Likud di “Benni” Netanyahu – notoriamente contrario al dialogo con i palestinesi – e che, infine, tutti i risultati del dialogo per la pace sfumino.
Mazal tov quindi, signora Livni, perché sappiamo che i suoi problemi cominciano ora.

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