Nel 2015 si rischia un altro crollo economico, ma ce la faremo

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Nella creazione dell’Eurozona ci sono i germi della crisi. Con un certo timore e con la consapevolezza che l’Eurozona sia stato uno degli esperimenti economici più importanti, il professore Kaushik Basu, Chief Economist della Banca Mondiale, ha espresso il suo critico punto di vista sull’attuale crisi economia, la cosiddetta “crisi del debito sovrano”. “Gli investitori vogliono seguire paesi sicuri – spiega Basu, su invito del giornalista Pietro Veronese – vogliono spostare il loro denaro in un luogo protetto.

Dal ’99 in poi gli investitori hanno infatti iniziato a sottrarre denaro all’Europa per investirlo negli Stati Uniti. Un paese che ha una Banca centrale e questo significa che negli Stati Uniti il governo federale può garantire protezione ai crediti, mentre all’interno dei paesi europei questo non può accadere”.

E se la crisi si pensava fosse in qualche modo passata, in realtà Kaushik Basu lancia un allarme: “Alla fine del 2015 il denaro iniettato nei paesi in difficoltà dalla Banca centrale europea, come quello dato alla Grecia, deve essere restituito. E da dove lo prenderanno? Verrà tolto dalle banche causando un’ondata di problemi per l’eurozona se nel frattempo non si prenderanno provvedimenti importanti”.

Oggi viviamo nell’era della globalizzazione, o meglio, viviamo la forza della globalizzazione che, parafrasando il pensiero di Basu, come quella di gravità non si può fare a meno di vivere ogni giorno. Si deve perciò partire da qui: “Le Banche centrali mondiali devono coordinarsi per ridurre i rischi di una crisi economica globale”. L’esperimento dell’eurozona, come ama chiamarlo Basu, ha dimostrato quali possono essere gli effetti di una mancanza di coordinamento centrale. Ora, la crisi economia europea si è ripercossa anche negli altri stati, anche nei paesi emergenti che temono un peggioramento della situazione. “Saranno 20 o massimo 25 – prosegue Basu – i Paesi che devono incontrarsi, unirsi e coordinare le azioni delle banche centrali nell’ottica di una maggiore collaborazione tra paesi”.

Sempre nell’ottica di un mercato globale è necessario rendersi conto che le nuove tecnologie hanno portato a un cambiamento radicale: “La risorsa più importante per lo sviluppo economico – continua Basu – era ed è il lavoro. In passato gli indiani lavoravano per l’India, gli italiani per l’Italia, e così via. Oggi la tecnologia ha cambiato tutto. Vi è un bacino comune della manodopera.

Questo fa sì che la parte più benestante riesca ad attingere a un bacino di lavoro mondiale perché sono persone più qualificate, mentre quelli meno qualificati non riescono ad uscire dal proprio paese e vanno in contro ai problemi della disoccupazione”.

A dimostrazione della flessibilità del mercato lavorativo globale è sufficiente guardare al tasso di disoccupazione degli Stati Uniti: “Gli Stati Uniti – illustra Basu – hanno un tasso di disoccupazione del 7%, non troppo alto, solo che questo tasso di disoccupazione è un tasso di lunga durata, vale a dire che sono persone che non riescono più a trovare lavoro perché si è verificata una perdita delle competenze.”

Tutto ciò ha portato a delle profonde disuguaglianze tra ricchi e poveri che non possono essere tollerabili. Ma cosa si può fare per la diseguaglianza? “Serve un governo mondiale che porti le categorie più deboli ad avere un reddito più alto, sono problemi che possono essere risolti senza una democrazia globale. Si deve iniziare con una ristrutturazione del pensiero economico, con un’azione di coordinamento comune che tragga esperienza da ciò che si è verificato in Europa”. E l’Italia? “Ritengo – conclude Basu – che il gruppo di economisti che si è riunito oggi a Trento possa migliorare la nostra situazione, fungere da modello per il resto del mondo. Entro quattro anni usciremo dalla crisi, assieme, e il mondo sarà un luogo migliore”.

(fp) @economicsfest

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