Informazione e disinformazione sull’economia

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LIVIO GHERSI

Editoriale a firma dei professori Alberto Alesina e Francesco Giavazzi nel quotidiano “Corriere della Sera” del 17 maggio 2013, titolato “Quel 3 per cento non sia un tabù“. L’incipit è: «La politica di bilancio in Italia è vincolata da puntuali regole europee. Esse prevedono che un Paese mantenga piena flessibilità nei propri conti pubblici solo se il suo deficit è inferiore al 3 per cento del Prodotto interno lordo».

Segue la proposta di negoziare in sede europea la possibilità per l’Italia di non rispettare per un paio di anni il limite del 3 % (il che significa un deficit annuale più elevato), utilizzando questo tempo per avviare una politica economica che rilanci l’economia italiana, a partire dall’abbattimento della pressione fiscale nell’ordine di 50 miliardi di euro e disponendo corrispondenti tagli della spesa pubblica.

Da modestissimo “quisque de populo“, colgo subito che gli eminenti professori non la stanno raccontando giusta su quelli che realmente sono i vincoli alla nostra politica di bilancio fissati dalla normativa europea. Il limite del tre per cento è il nostro passato; ma ci siamo impegnati a misure ben più stringenti.

Rispetto alle regole del Trattato di Maastricht del 1992, le nuove norme europee cui l’Italia (con il suo Governo e con il suo Parlamento) ha dato la propria approvazione comportano le seguenti, sostanziali, novità: 1) mentre prima era consentito che il bilancio annuale dello Stato prevedesse un disavanzo fino al tre per cento del Prodotto interno lordo nazionale (PIL), ora invece il bilancio deve essere in pareggio e, quando proprio non è possibile, il disavanzo ammesso deve essere contenuto entro lo 0,50 per cento del PIL; 2) mentre prima si tollerava che la regola del rapporto tra ammontare complessivo del debito pubblico e PIL non venisse rispettata, ora invece se ne pretende il rispetto. Così ci siamo impegnati ad eliminare in vent’anni la parte di debito pubblico eccedente il 60 per cento del PIL. Per la cronaca, oggi il debito pubblico è pari al 126 per cento del PIL.

Poiché si presume che due eminenti professori che scrivono editoriali nel più diffuso Quotidiano italiano ne sappiano più di un povero “quisque de populo“, esibisco qualche pezza d’appoggio, in modo da consentire a scettici, malpensanti, e semplici curiosi, tutte le verifiche del caso.

Lasciamo perdere che la nostra Costituzione è stata modificata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. L’iter è stato talmente veloce e così poco commentato dai mezzi di comunicazione di massa, che taluni fanno finta che non sia successo alcunché; eppure ben quattro articoli della Costituzione sono cambiati (in particolare, l’articolo 81 Cost). Nella circostanza, è stato possibile approvare una riforma costituzionale con maggioranze parlamentari più ampie dei due terzi, tanto alla Camera quanto al Senato. Strano che quando si tratti, ad esempio, di decidere di ridurre il numero dei parlamentari, tutti eccepiscano la complessità e la lunghezza della procedura di revisione della Costituzione.

Però è stata approvata poi la legge 24 dicembre 2012, n. 243, che reca “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione” (il testo è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 15 gennaio 2013, n. 12). Per la cronaca, è previsto che detta legge entri in vigore l’1 gennaio 2014 (non fra molto tempo). Per quanto riguarda i bilanci di Regioni ed Enti locali c’è appena un po’ più di tempo (decorrenza dall’1 gennaio 2016).

Anche il “Fiscal compact” non è qualcosa di esotico e di lontano. Per verifiche, leggere il testo della legge 23 luglio 2012, n. 114, recante “Ratifica ed esecuzione del trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, … eccetera” (legge pubblicata nel Supplemento ordinario alla GURI del 28 luglio 2012, n. 175).

Quando l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti rese pubblica l'”Agenda Monti“, che avrebbe dovuto essere la stella polare della sua non fortunata campagna elettorale, ricordò fra gli «obblighi europei in materia di disciplina delle finanze pubbliche», quello di «ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati» (in coincidenza con il conseguimento del pareggio di bilancio strutturale). Da quando? A partire dal 2015. Ossia, dall’anno 2015 si è tenuti non soltanto all’equilibrio di bilancio annuale (pareggio, o scostamento massimo dello 0,5 % rispetto al PIL), ma in più occorre una politica di abbattimento del debito pubblico, in modo da ricondurlo, nell’arco di vent’anni nella misura stabilita del 60 % rispetto al PIL nazionale.

Fior di economisti (come gli americani Joseph E. Stiglitz e Paul Krugman) hanno ampiamente spiegato che è pura follia adottare politiche di tagli alla spesa pubblica e di pareggio forzoso del bilancio in periodi di recessione economica. Tuttavia, quando qualche poveretto in Italia osò obiettare in pubblico che le misure adottate dai Paesi dell’Eurozona (il “Fiscal compact” e non soltanto) erano economicamente e socialmente insostenibili per il nostro Paese, fu trattato dal nostro establishment come un pericoloso sovversivo. Vero Presidente Napolitano? Chi era il vero nemico dell’Europa? Chi non ha avuto l’intelligenza e la forza di dire alla Germania che stava sbagliando e che se quelle erano le condizioni tassative e non negoziabili per far soppravvivere l’euro, allora l’euro poteva saltare anche l’indomani. Oppure chi ha avuto l’onestà di dire: non possiamo sottoscrivere impegni che sappiamo benissimo di non essere nelle condizioni di poter mantenere.

Qualcosa non torna. Anzi, molto non torna. Si può pensare tutto il male possibile di un movimento di protesta come il Movimento 5 Stelle: è vero, c’è troppa demagogia, troppa approssimazione, troppa impreparazione. Ma che dire dei partiti, quelli sedicenti “seri”, quelli pronti ad assumersi responsabilità di “governo”, i quali ieri parlavano di Europa e di rigore nella tenuta dei conti pubblici, ed oggi dicono che sì hanno sottoscritto degli impegni, ma era tutto uno scherzo?

Il cerino in mano è rimasto all’ex Presidente del Consiglio Monti. Ma, per quanto riguarda il Popolo della Libertà, è troppo facile ritrovare in Internet dichiarazioni, ad esempio di Lamberto Dini, sulla necessità e doverosità di approvare senza indugio la normativa sul “Fiscal compact“. Per quanto riguarda il Partito Democratico, è impietoso ripercorrere la campagna elettorale di Bersani, e verificare la frequenza con cui ha dato per scontato che tutti gli impegni con l’Unione Europea sarebbero stati puntualmente onorati?

Tutto ciò premesso, gli economisti d’indirizzo liberista oggi semplicemente parlano di altro, dalle colonne dell’autorevole “Corriere della Sera“. Tu chiamala se vuoi, tecnica di disinformazione di massa.

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