Giulio Andreotti, una vita intera per la politica

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MARTINA CECCO

E’ una responsabilità parlare di Giulio Andreotti, di quelle che in ogni caso danno un senso di misura dell’essere, nel bene o nel male, di qualcosa che non si afferra e non si riassume in poche righe. Testimone di un tempo e di un impegno senza precedenti, fa parte di quella schiera di “uomini di Stato” che hanno interpretato il ruolo del “politico” nel vero senso della parola, come di una strada senza via di uscita, che non si sa se potesse essere una buona teoria o una prassi sbagliata. Tant’è che di quest’abitudine a scegliere “sensi unici” si sono forgiati quasi tutti i più noti nomi della politica italiana. La differenza tra Andreotti e gli altri è che lui c’è stato fin dal primo giorno e la storia d’Italia (quella delle repubbliche) l’ha attraversata tutta, fino a oggi.

Quello che è certo è che nell’Assemblea Costituente con i suoi freschi 28 anni è nato un politico che è rimasto al Governo con la carica di sette volte Capo del Governo e infine Senatore a vita fino ai 94 anni, il nome di quel politico era Giulio, Giulio Andreotti.

Se chiediamo chi fosse Giulio Andreotti tra coloro che s’intendono e coloro che non masticano di politica tutti risponderanno con sicurezza “uomo intelligente”. Tanto intelligente da avere ad esempio capito che della politica e della vita privata sono due questioni diverse, che di politica ci si difende leggendo tra le righe della politica e non vagando tra ipotesi e teorie. Così dopo Rita Levi Montalcini, diparte Giulio Andreotti, entrambi portatori sicuramente di cultura e conoscenza che non han paragoni.

Ma non statista, no di certo, nonostante le numerose volte in carica non fu uno statista con la “S” maiuscola, di chi scrive davvero la storia con segni che restano indiscussi nel tempo; memoria storica, culturale e profonda sì, giornalista di certo, acculturato senza dubbio, ma non statista. Per mancanza di carattere, forse, coraggio, magari o per necessità probabilmente, così ci è dato pensare. Esponente di quella Democrazia Cristiana tutto sommato moderata e umile, che decide di non esporsi completamente ma di stare dalla parte di chi c’è, senza rischiare.

Ecco, l’Italia per il futuro ha bisogno di storici e giornalisti come Giulio Andreotti, mancano, stentano a farsi strada e con la società moderna si ha anche spesso l’impressione che possano non esistere più delle menti in grado di “com-prendere” nel senso di analizzare ed includere la realtà nel suo divenire, ma solo momenti che si rincorrono in fretta, che la memoria storica di oggi diventa ieri, e sbagliando così perseveriamo nel perderci di vista.

Si diceva di storici e di giornalisti, certo, ma non di politici. L’Italia non ha più bisogno di politici che seguono queste strategie. Ha bisogno certo di menti riflessive compensate da buone mani che operano nel quotidiano progresso storico, ma non di chi decide di farsi solo testimone in diretta di quello che accade, perché la storia e la politica non servono se non a “governare” la cosa pubblica.

Governare è una parola che viene usata dai greci e dai latini, per identificare il senso del tenere in mano e portare con sé “quello che è di tutti” e Giulio Andreotti fu uno degli uomini che scrissero la politica italiana, scegliendone la forma repubblicana e compartecipando nello scriverne la Costituzione. Mantenne fede a quello che creò? Ne fu un onesto portavoce ed esponente? Quello che è certo è che fino ad oggi rimase laddove aveva creato. Concludendone per naturale corso l’esperienza.

E allora perché tanti criticano Giulio Andreotti: proprio per la staticità, per essere sempre rimasto al Governo, confermando con le sue azioni che l’Italia che lui stesso aveva contribuito a “scrivere” poiché la vita pratica non la si decide a tavolino, ma la politica la si scrive anche tra appunti e discorsi, non era ancora matura per potersene andare da sola, per la sua strada. Chissà se il vero senso di un Senatore a vita, oltre la personale riconoscenza per quel che fu, si nasconde proprio tra questo preludio di paura nel lasciar che le cose prendano la piega che la corrente decide, da sé.

Pieno esponente preciso di quella classe di politici esposti ma ritratti che hanno fatto dell’Ars Politica il proprio lavoro, senza badare se questo potesse essere applicabile alla società civile, autore di quel principio di scollamento secondo cui dal Governo alle strade ne passa, tanto che poi quando si sta seduti al Governo non pare di trattare degli stessi problemi.

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