Sicilia: quando l’offerta politica è ambigua

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LIVIO GHERSI

Dopo che tanti analisti si sono misurati nel commentare le elezioni regionali siciliane, potrebbe sembrare che l’essenziale sia già stato detto.

Il mio contributo vuole tendere ad evidenziare un aspetto: quello dell’ambiguità dell’offerta politica espressa da tutte le liste che hanno partecipato alla competizione elettorale.

Vorrei partire dall’Unione di Centro (UDC) che in Sicilia avrebbe cambiato pelle e metodi, tanto da essere uno dei due pilastri del patto fra riformatori e moderati che ha consentito l’elezione del Presidente Crocetta. Tra i dieci candidati in assoluto più votati in termini di preferenze personali, troviamo al settimo posto un deputato dell’UDC di Catania (eletto anche nella lista regionale di Crocetta), il quale per tanto tempo è stato uno dei massimi dirigenti dell’MPA, a fianco dell’ex Presidente Lombardo.

Al nono posto troviamo un deputato dell’UDC di Palermo, a suo tempo considerato tra i deputati più vicini e fedeli all’ex Presidente Cuffaro.

Sono due esempi: si potrà sostenere che in entrambi i casi si tratta di deputati regionali di lungo corso e che la loro esperienza potrà risultare utile nei difficili tempi in cui ci troviamo, ma certamente non si può sostenere che rappresentino una soluzione di continuità politica rispetto al passato. La concezione che gli uomini politici siano buoni per tutte le stagioni e che possano esprimere, nel tempo, linee politiche anche molto diverse, senza che l’opinione pubblica si interroghi sulla loro coerenza personale, è dal mio punto di vista una concezione sbagliata. Che genera disorientamento e disaffezione tra i cittadini; poi non ci si deve meravigliare se il 53 per cento degli elettori decida di lasciare i politici ai loro trastulli e scelga di non recarsi nemmeno alle urne.

Il Partito Democratico non ha vinto; ha soltanto tenuto meglio. Rispetto alle elezioni regionali del 2008 ha perso oltre duecentomila voti; si tenga conto che, nel 2008, il risultato ottenuto da Anna Finocchiaro, candidata Presidente, era stato da tutti ritenuto modesto e deludente.

I dirigenti del Partito Democratico sono maestri nella prassi di restituire a vecchi avversari politici piena rispettabilità ed agibilità politica, a condizione — si intende — che accettino di allearsi con il PD medesimo. Chi si trova a fianco del PD è sulla strada giusta. Un tempo si sarebbe detto che si muove nello stesso senso della Storia. Diciamo che i Democratici di partito soffrono di un eccesso di realismo, di un malinteso machiavellismo, che da un altro punto di vista potrebbe essere valutato come eccesso di spregiudicatezza.

Non è vero che chi vince ha sempre ragione; altrimenti nel 2001 e nel 2006 la ragione sarebbe stata dalla parte del Presidente della Regione Cuffaro; nel 2008 la ragione sarebbe stata dalla parte del Presidente della Regione Lombardo. Non invidiamo il neo-Presidente Crocetta, chiamato ad un compito ben difficile; ma non daremmo mai per scontato che egli, per le modalità con cui è stato eletto, sia il più genuino interprete del rinnovamento politico. Lo dimostri nei fatti, se ne è capace.

Si allarga il cuore vedendo le facce giovani e pulite dei deputati eletti nelle liste del Movimento Cinque Stelle. Ma l’impostazione generale è, dal mio punto di vista, sbagliata: non credo nella democrazia “diretta”, che dovrebbe correggere i limiti della democrazia rappresentativa attraverso continue assemblee e chiedendo l’opinione dei militanti via Rete. Taluni problemi sono oggettivamente complessi; vanno compresi e studiati. Non si può pensare di risolverli demandando le scelte politiche ad una massa indifferenziata di militanti, i quali, nel merito, possono soltanto presumere, nella loro beata ignoranza, di avere una soluzione pronta e facile. Faccio una previsione: i quindici deputati del Movimento Cinque Stelle non arriveranno tutti a concludere la legislatura nel medesimo Gruppo parlamentare. Perché l’apparato istituzionale ha una forza corruttiva che neanche immaginano; perché, se sono intellettualmente onesti, si disamoreranno presto delle pratiche della democrazia diretta che, semplicemente, non funziona.

Piccolo pro-memoria per quanti si preoccupano davvero di migliorare l’etica pubblica in Sicilia. Primo: va respinto il criterio, finora seguito, che il trattamento economico dei deputati regionali e dei dipendenti dell’apparato burocratico servente dell’Assemblea regionale siciliana, pensionati inclusi, sia parametrato a quello dei senatori e dei dipendenti del Senato della Repubblica, ai corrispondenti livelli. Il parametro con il Senato ha costi economicamente insostenibili. Ridurre del cinquanta per cento sarebbe sempre troppo. Secondo: per un’esigenza di minima trasparenza, bisogna ridurre le mensilità erogate a tredici. Laddove, come nel caso dei deputati regionali e dei dipendenti e pensionati dell’ARS, le mensilità siano quindici, bisogna rideterminare il compenso mensile dividendo l’ammontare retributivo annuo per tredici. Così si saprà veramente quanto percepiscono ogni mese quanti hanno il privilegio di disporre di mensilità aggiuntive. Lo stesso criterio va generalizzato ai dirigenti dell’Amministrazione regionale, ai membri dei Consigli di amministrazione di società controllate o partecipate, ai dipendenti e dirigenti di qualsiasi ente finanziato con denaro pubblico della Regione.

Taccio delle liste del Popolo della libertà (PdL) ed alleati, perché qui al momento è evidente un fenomeno di disfacimento di un blocco politico; che ancora nel 2008 era largamente maggioritario nella società. Quando subentra la sindrome della sconfitta, non si trovano neppure uomini di partito disposti a concorrere alle massime responsabilità di governo. Così, tanto per la carica di Sindaco di Palermo, quanto per la carica di Presidente della Regione, si chiama un “esterno”, come se la circostanza di non fare organicamente parte del PdL migliori l’appeal politico.

L’ambiguità dell’offerta politica si rinviene anche nelle liste più a sinistra. Non faceva una buona impressione partecipare ad un’assemblea pubblica a sostegno dell’ottima Giovanna Marano e trovare, accanto alla sala del comizio, militanti di SEL che chiedevano una firma per la candidatura di Vendola alle primarie del Centro-Sinistra.

Analogamente, l’Italia dei Valori si è intestardita a presentare una propria lista, laddove, per superare lo sbarramento del cinque per cento previsto dalla legge elettorale, sarebbe stato più saggio che tutte le opposizioni si presentassero unite in un unico cartello elettorale. Perché si è deciso di rinunciare graziosamente a tre, quattro, deputati nell’Assemblea regionale? Sospetto, perché non si voleva far male al Partito Democratico. L’IdV è un partito che fa un’opposizione massimalista a parole, ma che ha come faro il mantenimento di un rapporto politico con il PD, senza il quale potrebbe perdere la rappresentanza in Parlamento, l’unica cosa che veramente gli interessi. Ricordo a me stesso che nelle elezioni politiche dell’aprile 2006 (per la XV Legislatura), l’IdV presentò proprie liste aderenti alla Coalizione di Centro-Sinistra, ma si garantì candidando parlamentari molto importanti negli equilibri interni di partito, come Silvana Mura, direttamente nelle liste dei DS. In nome di un particolarissimo “diritto di tribuna” che in quel periodo l’on. Di Pietro teorizzava.

Nelle elezioni politiche del 2008 fu Veltroni a fare la fortuna dell’IdV regalandogli un rapporto di alleanza esclusivo con il PD.

In altre parole, tanto Vendola, quanto Di Pietro, non hanno alcuna voglia di attestarsi su una linea effettivamente alternativa a quella del Partito democratico. Prendiamo il progetto detto “Syriza” (dal nome della lista greca), ossia di un raggruppamento di vari soggetti, politici, sociali, culturali, che abbia come fine precipuo quello di difendere gli interessi della popolazione nazionale e, pertanto, non accetti le politiche dell’Unione Europea improntate esclusivamente al rigore finanziario, all’austerità ed ai sacrifici. Una lista alternativa disposta a prendere in considerazione un “Piano B”, ossia l’uscita dall’Unione Europea, laddove le condizioni per continuare a farne parte si dimostrassero socialmente insostenibili.

SEL ed IdV si guardano bene dallo sposare in modo coerente questa linea alternativa. Di conseguenza, è comprensibile che gli elettori non sappiano che farsene di loro.

E’ strano che una critica di questo genere venga mossa da chi, come me, non si definisce nemmeno “di sinistra”, ma continua a preferire l’appellativo di liberale, nonostante tutto il carico di ambiguità che pure questo termine ormai ha. Il fatto è che quei liberali (poco liberisti), che amano l’Italia e si riconoscono nella tradizione risorgimentale, non hanno al momento alcuna possibilità di rappresentanza politica. Devono assistere alla svendita della sovranità nazionale, non per costruire l’Europa dei popoli (che al momento è pura utopia), ma per consegnare tutto il potere alla tecnocrazia di Bruxelles e per diventare colonia della Germania. Il progetto di un “Piano B” per l’Italia potrebbe raccogliere consensi trasversali di dimensioni inaspettate. Per un patriota italiano (patriota, non nazionalista), le classi dirigenti che si sono succedute negli ultimi vent’anni meritano poco più che l’appellativo di «traditori».

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