NICOLA CACACE
È strano che tutti parlano di lavoro, ma nessuno parla di modello tedesco del lavoro, che ha consentito il “miracolo” di mantenere inalterato un tasso di occupazione molto alto, 71% contro il 65% di eurozona ed il 56% italiano, anche in presenza di un calo del Pil del 6% nel 2009.
Questo vuol dire che a noi mancano 2 milioni di lavoratori per essere europei e 3 per essere “tedeschi”. Eppure l’esperienza tedesca può insegnare molto, circa la praticabilità del doppio obiettivo di aumentare produttività ed occupazione in presenza di bassa crescita.
La produttività oraria, normalmente, cala all’aumento delle ore giornaliere di lavoro. La documentazione disponibile sul tema è abbondante e di vecchia data. In Germania Hernest Abbè cita un’esperienza fatta negli stabilimenti Zeiss a Jena; riducendo l’orario da 9 ad 8 ore la produttività crebbe del 16%, in pratica la produzione aumentò (citato in l’Etude de travail, n.184, 1967). In Inghilterra, quando nel 1914 il ministro della guerra aumentò l’orario di lavoro per esigenze belliche, la produzione calò così da indurre presto a tornare al vecchio orario. Tutti gli studi successivi, da quelli francesi del rapporto Madinier per il V Plan a quelli svedesi della “Commissione mista per lo studio delle conseguenze della riduzione dell’orario di lavoro”, giunsero a conclusioni simili: la compensazione media (che varia col tipo di lavoro) è di 0,5, cioè ad una riduzione dell’orario di lavoro del 10% corrisponde un aumento medio della produttività oraria del 5% ed un aumento di occupazione del 5%.
Questo spiega bene “l’arcano senso” della tabella allegata su occupazione e durata del lavoro, dove i paesi con orari annuali più corti hanno tassi di occupazione più alti, mentre paesi come Italia, Ungheria, Grecia, con orari di lavoro più lunghi, hanno tassi di occupazione e produttività più bassi. Nella società della conoscenza, dove le qualità valgono più delle quantità, l’importante è la valorizzazione del lavoro che passa per la dignità della persona e per le buone condizioni di ambiente e di sicurezza che predispongono il lavoratore a coadiuvare con l’impresa.
La produttività è nemica di orari lunghi e di insicurezza. Torno brevemente al miracolo tedesco, che è basato, secondo i contributi dei professori Herbert Brucker e Michael Burda (convegno Cer sul miracolo tedesco del 2/3/11) su molti elementi, ma soprattutto su due. Il primo è il Conto individuale di lavoro (gli straordinari non si pagano ma vanno in un conto individuale che azienda e lavoratore utilizzano a seconda dei rispettivi bisogni; durante la crisi gli operai hanno fatto più vacanze e l’azienda ha ridotto il costo lavoro). Il secondo elemento, è il Kurzarbeit, cioè orari ridotti (con riduzione di salario compensato al 60% dal Welfare); durante la crisi gli orari si sono ridotti del 10% ed i salari del 4%. È la lezione tedesca che tutti dovrebbero studiare meglio.