Fermare il declino: finanza pubblica

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PIETRO MONSURRO’

Fermare il Declino ha fatto una serie di dieci proposte economiche che ritengo fondamentali per salvare il paese, e infatti ho firmato l’appello. Credo anche che dopo venti anni di stagnazione e cinque di recessione i temi economici siano i più importanti di tutti, e che tutto il resto debba passare in secondo piano tatticamente.

La finanza pubblica rappresenta una parte importante delle dieci proposte di Fermare il Declino ed giustamente è ai primi posti nel programma. Si tratta di tre proposte, riguardanti debito, spesa e tasse:

Ridurre l’ammontare del debito pubblico. E’ possibile scendere rapidamente sotto la soglia simbolica del 100% del PIL anche attraverso alienazioni del patrimonio pubblico, composto sia da immobili non vincolati sia da imprese o quote di esse.
Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni. La spending review deve costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle imprese (inclusi gli organi di informazione). Ripensare in modo organico le grandi voci di spesa, quali sanità e istruzione, introducendo meccanismi competitivi all’interno di quei settori. Riformare il sistema pensionistico per garantire vera equità inter—e intra—generazionale.
Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d’impresa. Semplificare il sistema tributario e combattere l’evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte.
Avrei messo prima il secondo punto, in ordine di importanza, e temo che il primo sia un po’ ottimistico.

Sul primo punto sono così d’accordo che l’unica cosa che mi chiedo è se sarà sufficiente o serviranno proposte più aggressive. Però quella di FiD è la proposta meno timida che c’è in giro, in linea con quella di Draghi che anni fa parlava di tagli per il 7% del PIL alla spesa pubblica.

Avevo detto in passato che non conoscevo un piano completo e credibile di tagli alle tasse. Ora la cosa comincia a prendere forma, grazie agli articoli di Lanfranconi e Brusco su NFA. Credo ci sia ancora del lavoro da fare, soprattutto nei dettagli, ma le statistiche note sui conti pubblici non permettono di ‘entrare nella “macchina dell’amministrazione”, ma solo di individuare aree di probabili inefficienze o esagerazioni. E non ce ne sono poche…

Per quanto riguarda le dismissioni patrimoniali, è vero che il patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato ammonta ad una frazione considerevole del PIL (la cifra di cui si parla tra i beni in qualche modo vendibili è quasi cinquecento miliardi, circa un terzo del PIL), ma i valori stimati delle case sono spesso più alti di quelli di realizzo, e vendere il 20% del PIL di patrimonio in pochi anni certamente crea problemi di liquidità ad un mercato già molto poco liquido.

Però le privatizzazioni, se accompagnate a liberalizzazioni, aiutano comunque: vendere aiuta la concorrenza e dunque l’efficienza, riduce i costi dello stato (se le aziende sono in perdita o se gli immobili sono sfitti o hanno costi di gestione), e riduce gli interessi sul debito.

Dubito che sia però possibile farlo per le cifre indicate, ma anche se lo si facesse per la metà (10% di PIL) sarebbe comunque importante.

Anche sul terzo punto, sono così d’accordo che non so cosa aggiungere. Abbassare le tasse su lavoro e capitale, in cui l’Italia era già nel 2009 campione mondiale e ora è probabilmente campione galattico, è fondamentale per recuperare competitività e creare incentivi per impegnarsi a produrre. Ma senza i primi due punti, soprattutto il secondo, è impossibile farlo.

@pietrom79 – Mercato e Libertà – 3 settembre 2012

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