Con la sua azione la Bce ha tenuto sotto controllo l’inflazione riducendo i rischi di instabilità finanziaria. Una strategia che ha portato avanti nonostante le opposte pressioni tedesche e francesi. Senza pregiudicare la possibilità di future restrizioni.
di DONATO MASCIANDARO, ordinario di economia politica e direttore del Centro Paolo Baffi della Bocconi
La difesa del valore dell’euro è una condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per avere una crescita sana e regolare. Ma per difendere l’euro occorre che non vengano intaccate la credibilità e l’efficacia dell’azione della Bce, Banca centrale europea, magari attraverso modifiche del suo assetto istituzionale, che ne annacquerebbero il mandato, intaccandone irrimediabilmente l’indipendenza.
La Bce ha finora svolto con efficacia un compito non facile: gestire una situazione finanziaria straordinaria utilizzando al meglio tutti gli strumenti, convenzionali e non, a disposizione di una banca centrale specializzata nella difesa della stabilità monetaria. Una banca centrale specializzata deve innanzitutto influenzare la dinamica dei prezzi governando al meglio le aspettative di inflazione, attraverso le manovre sui tassi di interesse. In tal modo, si dà un contributo decisivo alla crescita economica, riducendo quella spirale di incertezza, dagli esiti imprevedibili, che si mette in moto quando i risparmiatori e le imprese non si fidano più del valore della propria valuta.
Questo è finora avvenuto per l’euro: l’inflazione è sotto controllo. Nel contempo la Bce ha manovrato la liquidità per ridurre i rischi di instabilità finanziaria. Il sistema bancario europeo è stato rafforzato nelle sue riserve di liquidità; una risorsa particolarmente preziosa in una fase in cui le tensioni, ordinarie e straordinarie (comprese le autolesionistiche richieste di ricapitalizzazione da parte dell’autorità di vigilanza europea Eba) sono tutt’altro che tramontate.
Il successo della politica della Bce risulta ancor più rilevante se si tiene conto delle pressioni contrapposte che la Banca centrale deve sopportare da parte delle cicale inflazionistiche e dai corvi deflazionisti. Da un lato le cicale inflazionistiche, che cantano prevalentemente in francese, fremono per una riforma del Trattato, per avere una banca centrale priva di obiettivi espliciti, o almeno con più di un obiettivo (come la Fed, che è poi la stessa cosa, visto che quello che si vuole è un banchiere centrale senza una priorità vincolante). Peccato che la discrezionalità del banchiere centrale tende ad accoppiarsi sistematicamente con la subordinazione dello stesso agli interessi miopi dei governi in carica, che utilizzano la politica monetaria come tappeto sotto cui far sparire, momentaneamente, i problemi strutturali che causano la disoccupazione o il disordine nei conti pubblici. Il connubio tossico tra banchieri centrali subordinati e politici dalla vista corta è una costante della storia economica, ultima crisi finanziaria americana inclusa. Ma le cicale erano troppo occupate a frinire per accorgersene.
Dall’altro lato i corvi deflazionistici, che gracchiano in tedesco, ci dicono che la Bce sta sbagliando politica, attuando una azione monetaria eccessivamente espansiva, che prima o poi mostrerà il suo potenziale inflazionistico. Ma non c’è nulla di automatico tra l’attuale politica di rifinanziamento bancario e la capacità futura della Bce di saper controllare i rischi inflazionistici. La Bce ha utilizzato i tassi di interesse come strumento di indirizzo sulla dinamica dei prezzi. Lo stesso strumento può avere effetto anche sulla liquidità bancaria. La politica monetaria odierna non pregiudica la possibilità che la stessa Bce possa attivare al momento giusto una restrizione. L’importante è che Draghi sappia comprendere quando quel momento arriverà. Per il bene dell’euro, e a dispetto di cicale e corvi.