La rivoluzione liberale, l’obbiettivo mancato dal centrodestra italiano dal 1994 ad oggi, è possibile e necessaria. Noi siamo convinti che oggi, di fronte alla crisi fiscale degli Stati e dei loro debiti sovrani che l’Europa attraversa, in Italia sia necessario ripartire dalla convinzione che espresse il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan durante il suo discorso di insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio del 1981: “Lo Stato non è la soluzione dei problemi, lo Stato è il problema”.
Oggi, come mai in passato, lo Stato è sul punto di distruggere il Paese e la sua capacità di produrre ricchezza: nel decennio tra il 2001 e il 2010 il reddito delle famiglie italiane è diminuito del 4%, mentre nel resto dell’eurozona è cresciuto tra il 5% e il 7%. La pressione fiscale reale è prossima al 60%, la spesa pubblica ha raggiunto livelli insostenibili: il 55% del Prodotto Interno Lordo, 800 miliardi di euro all’anno, con una crescita dal 2000 ad oggi di quasi il cinquanta per cento.
Oggi chi intraprende e chi lavora paga allo Stato più della metà della ricchezza prodotta, con il risultato che il blocco sociale dei produttori, che negli ultimi vent’anni ha affidato la sua rappresentanza politica al centrodestra, oggi è più povero e debole di ieri e sente le proprie speranze tradite.
Di fronte alla sua crisi fiscale, l’Italia è diventata uno Stato di polizia tributaria, che aggredisce il lavoro e le imprese, non l’evasione fiscale. Così migliaia di imprese, già messe in difficoltà dalla stretta del credito seguita alla crisi bancaria internazionale, chiudono e l’Italia perde costantemente posti di lavoro, capacità produttiva e tecnologica, con conseguenze gravi sul futuro di una nazione che è seconda solo alla Germania nella produzione manifatturiera in Europa.
La crisi italiana è parte della crisi europea. Come ha detto il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, la crisi dell’Eurozona dimostra che il modello sociale europeo è giunto alla sua fine. Già negli anni Settanta dello scorso secolo, Germania, Italia e la media dei dodici paesi UE avevano livelli di reddito simili tra loro, ma erano Paesi più poveri degli Stati Uniti, con uno scarto tra il 25 e il 35%. Fino al 1995 l’Italia è cresciuta allo stesso ritmo dell’Eurozona, ma da quell’anno la crescita diminuisce e con esso diminuisce il livello del reddito degli italiani. La moneta unica, creata nel 1999, non ha migliorato né peggiorato la crescita: la bassa crescita viene da lontano ed è questo che ci rende più poveri in modo persistente.
Nello stesso periodo il gap tra il reddito pro capite di Germania e Stati Uniti rimane stabile: i cittadini tedeschi e europei sono più poveri in media del 25% rispetto a quelli americani e questa differenza è molto simile a quella che si aveva quaranta o dieci anni fa. Ancora una volta né l’euro né il mercato unico hanno provocato visibili cambiamenti.
Per troppo tempo abbiamo creduto di poter garantire maggiore benessere con minore lavoro, attraverso il debito. È la finanza degli Stati il nemico dei popoli e sono i crescenti debiti sovrani che portano all’impoverimento delle nostre società. Invece di chiedere sussidi pubblici, dobbiamo lavorare di più, in più e più a lungo. E insieme dobbiamo realizzare un nuovo modello di sviluppo fondato sulla capacità di innovazione, in grado di competere con i Paesi emergenti.
La crisi italiana è crisi fiscale ed economica e crisi istituzionale e politica. Dal 1994 ad oggi, in tutte le elezioni, i cittadini hanno scelto un premier, un programma, una coalizione di governo. Dal 1994 ad oggi in parlamento minoranze delle coalizioni vincenti hanno impedito l’attuazione dei programmi scelti dagli elettori, provocando elezioni anticipate o, peggio, maggioranze anomale e legate solo da opportunismi di potere. Fino alla nascita, lo scorso anno, del primo governo “tecnico” della storia repubblicana, prova definitiva della crisi istituzionale dello Stato e dell’anomalia italiana tra le democrazie occidentali. Una anomalia istituzionale che si riflette nella crisi di rappresentanza dei partiti e dei movimenti politici ormai incapaci di presentare agli elettori offerte politiche convincenti.
Lo Stato è dunque il problema degli italiani e lo Stato sta distruggendo l’Italia. Il centrodestra nato nel 1994 non è riuscito a compiere la promessa rivoluzione liberale. Essa resta però l’unica possibile via di uscita dalla crisi fiscale e istituzionale dello Stato. Noi parlamentari e dirigenti politici eletti nel centrodestra vogliamo ridare vita alla rivoluzione liberale e, allo scopo, ci siamo riuniti in una associazione, “per un’altra Italia”, il cui scopo è dare un contributo ad una radicalmente nuova offerta politica rivolta al blocco sociale dei produttori di ricchezza. Noi proponiamo anche una organizzazione politica radicalmente nuova, organizzata sul modello del network politico on-line e che adotti come metodo politico di selezione della classe dirigente le primarie aperte e sequenziali come quelle che si svolgono negli Stati Uniti e non le primarie d’apparato introdotte in Italia dal Partito Democratico.
Su questi obbiettivi raccoglieremo adesioni in tutta Italia e daremo vita a un serrato programma di iniziative politiche e parlamentari. Abbiamo poco tempo per evitare che la crisi del centrodestra trascini l’Italia verso una più pericolosa deriva statalista e illiberale che oggi appare quasi ineluttabile.
Roberto Antonione, deputato
Isabella Bertolini, deputato
Mariella Bocciardo, deputato
Ernesto Caccavale, giornalista, già eurodeputato
Giuseppe Cossiga, deputato
Alberto Di Pietro, avvocato
Fabio Gava, deputato
Giustina Mistrello Destro, deputato
Andrea Orsini, deputato
Patrizia Paoletti, esperto di cooperazione internazionale, già deputato
Gaetano Pecorella, deputato
Angelo Santori, deputato
Giorgio Stracquadanio, deputato
Roberto Tortoli, deputato