Lo chiameremo spirito del 2013?

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di UMBERTO VILLA

Unità dei moderati, casa dei liberaldemocratici, partito della nazione, uniti per l’italia, cantiere liberale e democratico. Sono solo alcuni delle definizioni che i futuri soggetti politici del centrodestra avranno. Nuove sigle per vecchie persone, vecchi modi di pensare, vecchi modi di intendere la politica.
Cambiare tutto, perché nulla cambi. Sembra questa la volontà della classe politica italiana e, ovviamente, nessuno vuole restare indietro in questo processo di falso rinnovamento, nel quale si cambia la confezione, la forma, ma, in fondo, il pacchetto rimane sempre lo stesso.

Se nel centrosinistra troviamo un’apparente fase di stabilità, perché “l’usato sicuro” del PD, come lo ha definito Bersani, non ha intenzione di cambiare, nell’area moderata abbiamo una confusione immensa, al punto che nessuno sa più dove finirà.

Berlusconi vuole Casini, che però non vuole Berlusconi, ma potrebbe aprire ad Alfano, che non vuole Fini, il quale è ufficialmente con Casini, ma non sa se fidarsi di lui o meno e Bocchino, braccio destro del Presidente della Camera, apre per la prima volta al nuovo Pdl, ma chiede un passo indietro di Berlusconi, che ne ha già fatti due, lasciando Presidenza del Consiglio e leadership del partito e non ha intenzione di farne altri. Non è finita. Non è finita perché c’è la Lega, una grande incognita che parte del Pdl rivorrebbe, pur consapevole che gli uomini di Bossi escluderebbero un’alleanza con Casini.

Insomma, un grande minestrone, che è lo stesso che ci viene proposto da quindici anni. Le alleanze, le coalizioni, i patti, non vengono più fatti su idee e programmi, ma su antagonismi vari, personalismi sfrenati, rivalità vecchie e nuove, che non fanno altro che allontanare gli elettori e alimentare l’antipolitica, anzi no, l’antipolitica non esiste. Non fanno altro che alimentare l’antipolitici, che è una cosa ben diversa.

Casini azzera i vertici dell’Udc e apre ufficialmente il percorso verso il Partito della Nazione. Berlusconi&Alfano promettono la più grande novità del panorama politico italiano, ma nessuno parla di contenuti e programmi, nessuno propone una soluzione alla crisi finanziaria e un’economia sostenibile che possa ridare slancio a un paese stanco, affranto, depresso e incrostato tra corporazioni e lobby.
La partita del 2013 sta cominciando e dopo le amministrative tutti gli schieramenti si giocheranno le loro migliori carte, ma, probabilmente, solo verso l’autunno capiremo chi sarà alleato di chi.

Nessuno, ora, può prevedere cosa accadrà nello scenario politico, ma chiunque sa che in condizioni simili a vincere sarebbe solo un partito: quello dell’astensionismo. Già,perché se la fiducia nei partiti è crollata al 2% e un movimento come quello di Grillo, che propone solo grida e utopie, sale intorno all’8%, serve qualcosa di veramente innovativo, chiaro e quasi rivoluzionario per ottenere di nuovo fiducia.
Dopo lo scandalo di Tangentopoli ci pensò Berlusconi con la sua prima creatura, Forza Italia, e con uno spirito liberale, che prometteva grandi cambiamenti.

Così non fu, ma quelle idee e quel primissimo governo Berlusconi furono davvero liberali e, probabilmente per questo, dovettero abbandonare la scena molto presto.
Ora ci troviamo in una situazione molto simile, se non peggiore, e serve un programma di libertà ancora più forte e credibile di quegli anni, in modo che, tra qualche tempo, non si parlerà più di “spirito del 94’”, ma “spirito del 2013”.

In qualunque paese europeo Pdl, FLI e probabilmente anche UDC sarebbero alleati, o addirittura un unico partito, perché uniti da valori e ideali comuni a tutto il centrodestra, ma invece, in Italia, la scelta non ricade secondo questo nobili criteri, ma si vota il leader, la singola persona e non c’è nulla di più sbagliato in un sistema di governo come il nostro, in cui l’individuo può fare pochissimo se non è affiancato da una squadra di ministri valida e da parlamentari degni di questo nome.
Giusto, quindi, lavorare all’unità dei moderati, ma questa si deve basare su un programma di governo liberale, su proposte concrete a medio-lungo termine e su una classe dirigente nuova che superi gli antagonismi del passato.

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