La politica estera e il diritto

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di LIVIO GHERSI

L’articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana si apre con questa solenne affermazione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. In coincidenza con il dibattito parlamentare, questa disposizione costituzionale è stata copiata da migliaia di volenterosi e inviata con ogni mezzo di comunicazione ad ogni possibile destinatario, per fare riflettere quanti sarebbero dimentichi che la politica estera del nostro Paese non possa prescindere dal chiaro dettato costituzionale.
Tuttavia, il medesimo articolo 11 della Costituzione così continua: “[L’Italia] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Tra le Organizzazioni internazionali implicitamente evocate da questa seconda parte dell’articolo 11 figura, in primo luogo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).

Poiché l’intervento di cui concretamente si discute è quello in Libia, mi permetto di sostenere che questo:
a) non offende la libertà del popolo libico; perché, quanto meno, aiuta una parte dei Libici, i quali si sono già ribellati ad una dittatura sanguinosa ed oppressiva, a darsi nuove istituzioni ed un nuovo governo, da loro liberamente scelti;
b) riequilibra i rapporti di forza; perché Gheddafi, se potesse combattere da solo contro i ribelli — senza interventi esterni — vincerebbe anche troppo facilmente. Ad esempio, la misura della “no fly zone” è stata decisa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU per impedire che Gheddafi continuasse a bombardare le postazioni dei ribelli con l’aviazione (di cui soltanto lui dispone; mentre i ribelli non hanno aerei).
In politica estera non ci sono regole che si possano applicare sempre e dovunque, con precisazione geometrica.

Sento spesso ripetere la domanda: perché disporre l’intervento in Libia e non, ad esempio, anche in Siria? Dal mio punto di vista, è una domanda cretina. Per una felice e straordinaria coincidenza, nessun membro del Consiglio di Sicurezza dotato del potere di veto si è opposto all’intervento in Libia. Questo è un evento rarissimo. Ciò è successo per la preoccupazione di impedire l’ingresso dell’esercito di Gheddafi a Bengasi, con il conseguente, certo, bagno di sangue. Ma è successo pure perché nessuna grande potenza si sentiva minacciata nei propri interessi diretti dall’eventuale caduta dell’attuale regime libico. Nel caso della Siria, come in tanti altri casi analoghi, invece, c’è sempre qualche grande potenza che non vuole. Magari per la semplice, ragionevole, preoccupazione di non mettere in crisi gli equilibri geo-politici in aree troppo vaste e nel medesimo tempo.
Dal mio punto di vista, quello di Gheddafi è stato e continua ad essere un pessimo regime: illiberale ed antidemocratico. Invece, nei fermenti che attraversano il mondo arabo e di cui sono protagonisti i giovani arabi, vedo grandi opportunità, che è bene non lasciarsi scappare.

L’opportunità che quei giovani rovescino dittature pluridecennali, abbattano società chiuse che impediscono il ricambio dei governanti e la mobilità sociale, e si diano nuove istituzioni rappresentative: che saranno certamente diverse da quelle occidentali, ma che potrebbero essere un’occasione di progresso civile ed economico per i Paesi Arabi.
Non è vero che quanto è successo in Libia sia stato determinato dall’interventismo dei Francesi e degli Inglesi, animato da chissà quali inconfessabili interessi. Queste stupidaggini lasciamole dire ai leghisti. Semplicemente, tanto l’Europa Occidentale, quanto gli Stati Uniti, hanno il principio di libertà come fondamento della propria storia. L’esigenza d libertà vale per tutti. Anche per gli Arabi, i quali devono essere liberi di darsi le istituzioni di governo che ritengono più rispondenti alle proprie tradizioni culturali ed ai propri interessi; e devono poter scegliere i propri governanti.

Da noi, invece, qualcuno pensa che la libertà valga soltanto per alcuni Paesi più fortunati e che, nello specifico, i Libici fossero tenuti a sottostare alla dittatura di Gheddafi perché quel dittatore era funzionale ai nostri interessi, ci vendeva il petrolio ed il gas, e faceva con noi buoni affari.
I rapporti con gli Arabi potranno essere tanto migliori in futuro, quanto più vedranno che facciamo valere per loro gli stessi principi fondamentali che rivendichiamo per noi.

E’ vero che oggi la risoluzione dell’ONU (con la sua ineliminabile ambiguità) consente un intervento in Libia che, al momento, non potrebbe essere ripetuto altrove. E che importa? Un passo avanti in Libia è qualcosa, anzi è molto. Dovremmo fermarci perché non si applicano i medesimi criteri di giustizia in tutto il mondo? La politica è anche l’arte di saper mettere in movimento le cose, partendo dagli spiragli che effettivamente si offrono.
Io sto, senza riserve, dalla parte del Governo provvisorio che si è costituito a Bengasi e auspico la fine politica di Gheddafi e del suo regime.
L’Italia, se vuole, può dare una mano. Appunto, si tratta di volere. Il diritto costituzionale qui c’entra poco.

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