Il fenomeno della immigrazione? Ha effetti diversi

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di MARTINA CECCO

Se ne discute spesso di due problematiche o risorse, lo capiremo con il tempo, che hanno toccato e
riguardano pienamente l’Europa e gli Stati Uniti d’America. Il concreto spostamento di migliaia di
persone da un territorio all’altro per motivazioni prevalentemente di emergenza o lavorative ha sottoposto
i paesi che hanno ceduto “capitale umano” e i paesi che invece hanno accolto queste persone, a un
cambiamento nel modo in cui il sistema economico ha gestito il sistema imprenditoriale e il sistema lavoro.

Due fenomeni che sono conosciuti con il nome di immigrazione, appunto e delocalizzazione della impresa, con cui si intende anche lo spostamento fisico degli stabilimenti di produzione e non solo il cambiamento della destinazione del danaro e del capitale in sé.

Quello che si vuole discutere è quindi la positività o la negatività o la non influenza ai fini economici di questi due fenomeni, che alle prime possono ingenerare delle incomprensioni sul risultato economico di una realtà complessa come quella della società post-industriale, ovvero prevalentemente di produzione e di servizio, che ha visto negli ultimi mesi notevoli decrescite dovute a quella che è stata in generale definita come “crisi economica”.

Dunque serve capire quanto la immigrazione e la delocalizzazione delle imprese sia stata un elemento innovativo e quanto invece sia stato elemento di freno per le economie dei paesi che hanno accolto questi cambiamenti nel sistema. Secondo quanto emerge da uno studio condotto dalla Università “La Bocconi” di Milano, che ha analizzato i dati relativi agli anni 200-2007, questi due fenomeni hanno avuto impatto neutralizzato ed effetti positivi sulla competitività della economia, almeno negli Stati Uniti. Per l’Europa e per l’Italia non vi sono presupposti esatti per poter trarre delle conclusioni altrettanto precise e vedremo poi perché.

Quello che è accaduto in questi ultimi 10 anni negli USA è stato un radicale e profondo cambiamento nel sistema economico, così impattante da aver costretto a definire come post-industriale la economia che attualmente prevale nel paese. Ad esempio, uno dei fenomeni più importanti che hanno riguardato gli USA; è stato il progressivo decrescere del settore manifatturiero, fatto che accomuna anche l’Europa e l’Italia, e l’aumento esponenziale del settore dei servizi.

Dunque non è stata la immigrazione o la delocalizzazione a determinare il fenomeno, ma il cambiamento del tipo di società economica, in seguito al quale le imprese, per aumentare la competitività, hanno scelto anche di percorrere la delocalizzazione, comunque non sacrificando posti di lavoro per gli americani, ma virandoli su professioni più specialistiche e utilizzando invece altre risorse per reinvestire quanto guadagnato con la delocalizzazione.

Di contro l’immigrato è andato a occupare i posti di lavoro meno ambiti e più routinari, come forza lavoro per le mansioni più semplici, anche nel settore della produzione, non occupando dei posti che erano destinati all’americano medio, ma occupando dei posti che hanno permesso alle imprese di reinvestire grazie alle risorse non specializzate a disposizione.

Dunque sarebbe il cambiamento del tipo di società economica ad aver lasciato due “gap” da colmare: da una parte le mansioni ripetitive e meno specializzate che non erano ambite dall’americano medio, dall’altra stimolando alla competizione e quindi chiedendo investimenti all’estero o delocalizzate.

Il calo del settore manifatturiero, invece, è un calo fisiologico, sottolineano le tre ricerche concluse dalla Università milanese, che non dipendono quindi né dalla delocalizzazione, né dal capitale umano importato grazie alla immigrazione. L’immigrazione ha invece consentito ai lavoratori “autoctoni” di intraprendere carriere moderne e meno stabilizzate nel sistema, con le conseguenze positive e negative del caso: flessibilità, opportunità, competitività e cambiamento.

Per l’Italia e per l’Europa la dinamica è simile, quello che cambia invece è il tipo di società economica su cui si viene ad applicare questo nuovo modello post-industriale, cioè una società economica meno avvezza alla competitività e munita di strumenti meno flessibili per le attività dentro e fuori la impresa, ovvero una struttura più fissa che fa fatica ad adeguarsi alle richieste del nuovo modello economico che tuttavia prevale, per forza e per necessità, nella società economica contemporanea.

Fonte: “Università degli Studi La Bocconi”, Gianmarco Ottaviano in: Ottaviano, Peri, Wright, Immigration, offshoring and American jobs, National Bureau of Economic Research, working paper No. 16439, Cambridge, Mass., 2010

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