Agricoltura: ecco perché conviene convertire in filiera corta

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di MARTINA CECCO

Prodotti agricoli, specie del genere di frutta e verdura mediterranea, pomodori e conserve, cereali e vino, sarebbero uno dei punti forti su cui l’economia nazionale dovrebbe puntare, almeno secondo quanto emerge dai dati nazionali della CIA, che parlano di come questo settore potrebbe assumere rilevanza nel paese.

Per il mercato interno, invece, il prezzo della produzione, confrontato con il primo prezzo di vendita e confrontato con il prezzo al dettaglio, offrono una discrepanza notevole, che indica che qualcosa non va per il verso giusto: alti i costi di produzione, crollati i primi prezzi e in rialzo i prezzi al dettaglio.

Ma allora, perché il Governo con il Decreto Milleproroghe, si è occupato solo di un settore, quello del latte, e ha tralasciato a piè pari il settore dell’allevamento e il settore primario?

Secondo quanto emerge dalle analisi finanziarie compiute della ConfAgricoltori il settore primario, oltre che avere delle potenzialità non sfruttate, è il più richiesto per esportazione, anche da paesi come il Nord Africa, tra cui la Libia e la Tunisia e l’Asia, specialmente la Cina, che per motivi interni e per carenza di acqua deve sopperire con la importazione, anche dall’Italia.

A una breve lettura di come stanno andando le cose nel nostro paese non si può non notare che il settore primario, importantissimo e in larga parte predominante in alcune regioni italiane, viene sistematicamente trascurato per non andare a cozzare con le linee di politica economica europea, che richiedono standard diversi, anche per il nostro paese.

Se dunque il primario non viene valutato in giusto modo ci dovranno pur essere dei motivi, che sia una precisa volontà di scegliere su che cosa puntare, che sia una disattenzione dovuta a troppe emergenze per rimediare alla crisi economica e poche risorse, ma il problema rimane, specie per le imprese agricole, per prime, che il prossimo anno, secondo le proiezioni statistiche, potrebbero decidere in un terzo dei casi, ed è davvero un dato impressionante, di sospendere o di attenuare o di chiudere direttamente le attività su larga scala. Altro a dire, avvantaggiare la filiera corta e quindi chiudere con la produzione per l’esportazione.

Un piano economico dunque, per arrivare a restringere il commercio del primario su base locale o territoriale, apprezzabile, ma che non ha ancora risolto il problema della quantità, da cui le proteste in piazza degli agricoltori, che si trovano a dover convertire il “ramo secco” della filiera, cioè tutto cioò che passa dalla prima vendita al dettaglio, senza avere ancora in mano un piano economico per il mercato interno a misura di impresa.

Un obiettivo, questo è certo, è prioritario: la definizione del mercato, dividendo e riconvertendo per l’ennesima volta la produzione, diversificando, parola e dato di fatto fondamentale, diversificando le tipologie di prodotto, per invertire la rotta, tagliando le spese proprio su quelle tipologie di cui sopra che determinano l’inabissarsi del valore del primario e invece incentivando alla larga scala solo quei prodotti che realmente sono poi piazzabili sul mercato, ma dirlo a chi di agricoltura deve “campare” non è un gioco da ragazzi-

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